NET10 La città muta, #2 / E03

Palermo al tappeto

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Palermo al tappeto

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È un periodo strano, quello che Palermo sta vivendo. I mesi universalmente noti per dare inizio alla primavera sono per la prima volta vissuti con grande preoccupazione dai palermitani, stanchi del lungo periodo passato in isolamento a causa del Coronavirus e al grido di #stiamoacasa diffuso senza sosta dalle ronde delle forze dell’ordine, affranti per la mancata apertura della stagione delle scampagnate, o per meglio dire arrustute, con la fuga dalla città nel giorno di Pasquetta. 

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Così, mentre operazioni militari reprimono con mezzi spropositati qualsivoglia forma di resistenza alla cattività (come nel caso di una grigliata familiare organizzata sul tetto del proprio condominio o al bagnante solitario sulla spiaggia di Mondello) in risposta alla prima primavera senza turisti da molti anni a questa parte, il settore turistico cerca di riorganizzarsi in modo da garantire un flusso costante di turisti anche in tempi di pandemia, senza che però siano chiare le tempistiche, le modalità ma ancor di più come si garantirà la sicurezza e il distanziamento sociale.

Da almeno cinque anni infatti Palermo è una delle mete più ambite nel mercato turistico che gravita attorno al Mediterraneo e, con i suoi due milioni di presenze l’anno, si pone in competizione con altre città come Marsiglia, Valencia e Napoli. In particolar modo con l’arrivo della bella stagione, il capoluogo siciliano diventa ulteriormente attraente agli occhi dei viaggiatori del nord Europa, che vedono nella città la possibilità di mettere i piedi a mollo affollando la spiaggia di Mondello, località balneare inglobata negli anni ‘80 dalla città vera e propria, oltre che di ammirare le bellezze storico-architettoniche, recentemente certificate dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. 

Per questo motivo il centro storico della città si è in questi anni adattato a quello che fino a poco prima della pandemia erano i dettami del mercato turistico e i cui effetti sono visibili oggi in un’attitudine ormai radicata e più desolante del previsto: vivere e consumare gli spazi urbani a qualsiasi ora, affollando siti e luoghi segnalati dalle varie guide. In questo senso, l’amministrazione comunale e la cittadinanza, all’interno dell’ormai consolidato meccanismo palermitano di sussunzione della prima sulla seconda, hanno ideato e messo in pratica, attraverso le suadenti parole del sindaco Leoluca Orlando, un piano di trasformazione radicale del tessuto urbano e economico del centro storico utilizzando una narrativa che presenta Palermo come un brand. Peccato che, dopo circa dieci anni dalla sua nascita, l’isola pedonale che corre lungo le vie storiche della città, via Maqueda in direzione nord-sud e Corso Vittorio Emanuele in direzione est-ovest, sia oggi vuota non più solo delle automobili ma anche dei passanti, o per meglio dire degli avventori, che erano soliti consumare cibi e bevande tra una foto ricordo e una visita a un palazzo storico. Queste due vie e molte loro diramazioni si sono infatti da tempo convertite a corridoi lungo i quali si aprono diverse attività e attrazioni capaci di fare in modo che il turista o consumatore sia invogliato a rimanervi il più a lungo possibile, convinto di vivere l’autenticità palermitana senza sapere che, come dice Sharon Zukin nel suo articolo Consuming authenticity, ‹uno spazio si può definire autentico solo dall’esterno dello stesso›. Sono così aumentate a dismisura le varie botteghe di cibo da strada, vera e propria attrazione, tanto da dedicargli più di un festival durante l’arco dell’anno, che ammantate da un’aura di autenticità tipica del turismo esperienziale e di rivisitazione storica presentano prodotti lontanissimi dal gusto e soprattutto dai portafogli dei palermitani, ma che trovano un enorme successo grazie ai consumi dei turisti, eliminando di fatto la concorrenza delle putìe storiche, o ambulanti, che non si sono adattate alle esigenze del mercato. 

Stessa dinamica è quella che è in qualche modo toccata a un altro settore noto per il suo carattere tradizionalistico, l’artigianato, che a fronte della chiusura di circa 30 attività, ha visto la nascita di 90 nuovi esercizi nel solo centro storico. Se da un lato infatti un numero considerevole di artigiani e artigiane si è fatto carico di riprendere in mano strumenti e metodi antichi per la produzione di alcuni beni, molti altri hanno utilizzato il rilancio del fatto a mano per produrre o in alcuni casi assemblare pezzi i cui canoni estetici sono ormai standardizzati e le cui iconografie riproducono in maniera spesso semplicistica, se non addirittura stereotipante, quelle visioni della città e dell’isola che risiedono solo nell’immaginario di turisti e visitatori, come mostrato nel lavoro del collettivo Suos Devorat, autore della rivisitazione turistificata della Vucciria di Guttuso, che nel richiamo all’iscrizione che appare nelle statue del Genio di Palermo ricorda come la città sia in grado di nutrire i viaggiatori e affama i suoi cittadini

Queste ultime due caratteristiche sono le principali di una nuova serie di iniziative culturali pubbliche che il Comune ha promosso per potersi fregiare del titolo di città della street art. Se infatti la vuota retorica antidegrado e antivandalismo continua e porre dei limiti su spazi e orari dedicati alla pittura di strada al punto di creare delle apposite zone, a specifici artisti e in specifici muri viene concessa la possibilità di creare nuove e imponenti opere che sono state in alcuni casi etichettate dagli autori stessi come cartoline della città.     

Un effetto secondario, ma solo nelle tempistiche, a quanto appena descritto è quello legato alla ricezione del numero sempre crescente di turisti che senza soluzione di continuità visitano le vie palermitane. Secondo lo stesso ufficio comunale che ha fornito i dati sul settore manifatturiero è possibile affermare che nel solo centro storico di Palermo, che si estende per più di due chilometri quadrati, nel quinquennio 2014-2019, a fronte della chiusura di 25 attività ricettive ascrivibili a alberghi, pensioni e Bed & Breakfast, ne sono state aperte 169. Ma tale dato non tiene conto anche di uno degli attori più importanti del settore: nel solo biennio 2019-2020 il colosso dell’home sharing Airbnb ha visto incrementare, accompagnato da cori di giubilo da parte di amministrazione e cittadinanza, i suoi annunci per la città di Palermo di circa mille unità, arrivando così a toccare quasi i 6000 appartamenti, loft o intere palazzine storiche in locazione breve a uso turistico che vengono sottratte al mercato ordinario delle locazioni senza una specifica normazione se non quella dettata dal libero mercato. In questo modo anche una città come

Palermo, dove l’emergenza abitativa è sempre stata sopita e occultata da contratti a nero 

e da occupazioni abitative più o meno tollerate, che spiegano così il numero di alloggi che risultano vuoti o abitati da non residenti (oltre il 50% nei quattro quartieri più rinomati, Ballarò, Capo, Kalsa e Vucciria), nuove famiglie e studenti in arrivo cominciano a riscontrare le prime difficoltà nel trovare una casa il cui prezzo sia alla loro portata e che sia vicina o quantomeno servita da infrastrutture che la connettano ai luoghi di lavoro e di vita, nonostante un indice di disagio edilizio che per il comune di Palermo si attesta a 1,58. Questo indice è determinato dal rapporto tra gli edifici residenziali in uno stato di conservazione pessimo o mediocre e il totale degli edifici residenziali in una determinata area: nel caso di Palermo rende bene l’idea delle condizioni pessime in cui si trova il patrimonio immobiliare urbano.

Mentre il centro storico è in queste condizioni – fatto salvo per alcune zone, come la Noce o il Borgo Vecchio, che sono state private forzatamente di qualsivoglia importanza al fine di nasconderle dalle piste battute dai turisti – le periferie palermitane hanno in questi anni svolto assiduamente il ruolo di valvole di sfogo per i bisogni dei residenti vecchi e nuovi. 

Mentre non è stato più possibile vivere il centro storico proprio a causa della chiusura di esercizi commerciali di prossimità (alimentari e generi di prima necessità), 

lungo le direttrici sud, est e ovest sono stati creati tre nuovi centri commerciali 

a cui si è aggiunto un quarto a metà strada tra la città e l’aeroporto, in grado di servire alcuni comuni limitrofi in cui si è rifugiata una parte della popolazione che gravita attorno a Palermo per motivi di studio e/o lavoro. Alla creazione di queste attività di commercio massificato e centralizzato è stata anche affiancata una rete infrastrutturale necessaria al collegamento tra le zone residenziali rimaste a metà strada tra il centro storico e le periferie. 

Dagli snodi ferroviari principali (stazioni Centrale e Notarbartolo) fino ai centri commerciali, la creazione e il disegno delle linee così come la gestione di tempi e di orari di erogazione del servizio (dalle ore 6 alle 21) non lasciano trasparire la volontà di liberare il centro dal traffico, né tantomeno quella di voler collegare luoghi di interesse culturale, sedi di lavoro o di svago che non siano i centri commerciali sopra menzionati. A questo si lega la chiusura o il malfunzionamento di quei servizi non considerabili come strettamente essenziali per la vita biologica di un essere umano ma sicuramente necessari per la formazione e la socialità di un individuo, come i parchi comunali, concentrati all’interno o nelle immediate vicinanze del centro storico o in condizioni di inutilizzo per mancata manutenzione e le sedi distaccate della biblioteca comunale, gestite in maniera sempre più escludente attraverso orari di apertura al pubblico incompatibili con quelli di lavoratori e lavoratrici così come degli studenti e delle studentesse che vorrebbero usufruirne.  

Palermo non è più la città nota per fatti legati alle guerre di mafia (la cui memoria storica è stata pian piano cancellata e riesumata solo in chiave folkloristica), ma per la sua ritrovata e tanto decantata autenticità di centro del Mediterraneo, per il suo essere culla di incontri tra varie culture e, non ultima ragione, per le sue bellezze naturali. Ma proprio queste sue caratteristiche, che possono essere anche veritiere quando non declinate in maniera goffa e quasi macchiettistica, rischiano di essere definitivamente cancellate dalle conseguenze dell’imposizione del paradigma turistico e dalla sua impostazione monoculturale fatta di standardizzazione dei consumi, degli spazi e dei tempi di vita. È proprio in momenti come questo, in cui un fenomeno del tutto inaspettato e incontrollabile nel breve periodo come una pandemia, che queste peculiarità rischiano di far collassare l’intera economia urbana, specie se questa si lega a doppio filo a un settore volubile come quello turistico.