NET91 Editoria indipendente / E02
Il destino della rivista Alfabeta
La chiusura di Alfabeta2, riedizione della storica rivista degli intellettuali, è una sconfitta che fa riflettere sulla decadenza della parola scritta.
parole di:
immagini di:
‹Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere› declamava Ennio Flaiano. La parola scritta è dunque forte, sfida il tempo restando quando il resto svanisce. Eppure, oggi, in un reale quasi incarnale è soprattutto la parola scritta che fatica a emergere e a imporre la propria voce, soffocata in un deserto significante in cui nulla pare avere più importanza.
E in questo scenario il congedo della rivista culturale Alfabeta2 appare coerente. Un saluto, il loro, che non vuole essere nostalgico. Un arrivederci che con lo sguardo è rivolto al futuro ma senza dimenticare le orme che ha tracciato e che segna, ancora, le memorie.
Alfabeta2 il 15 Settembre 2019 ha chiuso, ma non per questo ha perso. Se c’è in qualche modo un perdente, quello è probabilmente il lettore. La rivista Alfabeta viene fondata a Milano nel 1979 da Nanni Balestrini (precursore del Gruppo 63). Tra il 1979 e il 1988 sono pubblicati 114 numeri composti da articoli firmati dagli intellettuali più importanti e all’avanguardia della scena italiana. Umberto Eco, Pier Aldo Rovatti, Maria Corti e successivamente Omar Calabrese e Maurizio Ferraris sono infatti solo alcuni dei membri presenti nella redazione. E già dal proprio esordio si evince che Alfabeta nasce con la speranza di contrastare sia la ‹cultura dei poteri dominanti›, sia la galoppante depressione intellettuale, donando voce e spazio a pensatori liberi che tramite le loro parole vogliono incentivare una presa di coscienza collettiva e una diffusione del sapere democratica e priva di accademismi. Alfabeta è la rivista della comunità, in cui i contenuti corrono in una via inversa rispetto la massa, e difendendosi dall’imbarbarimento delle informazioni cercano di fare del sapere autentico la loro arma pacifica. Al sempre più diffuso sensazionalismo mediatico, Alfabeta apre al dialogo e allo scambio di conoscenze che come finalità non hanno lo stupore, bensì il raggiungimento da parte del fruitore di una maggiore presa di consapevolezza.
Ora, però, se l’obiettivo di divulgare la cultura tramite la parola stampata era possibile negli anni ‘80, con l’avvento del web e la conseguente digitalizzazione dei contenuti tale esigenza ha cambiato volto, facendo emergere nuove possibilità di comunicazione che progressivamente hanno marginalizzato la stampa. La presenza tattile delle parole dei libri e dei quotidiani si è rarefatta, impressa in contesti effimeri e pronti a scomparire l’istante successivo. Ironicamente si potrebbe dire che i testi presenti in internet siano costretti al medesimo tragico destino che subiscono i libri in Fahrenheit 451, perché anche se essi non vengono materialmente bruciati finiscono comunque oscurati dai post successivi.
Cosa rimane? Forse soltanto i click e i loro diabolici numeri. All’interno di questa cornice in cui la quantità ha rimpiazzato la qualità, a pagarne il prezzo sono stati soprattutto quei contenitori culturali che tentavano di fare della parola scritta un’opportunità per avviare riflessioni profonde e insegnamenti. Ma anche in questo caso Alfabeta non si è arresa e ha affrontato gli strumenti che la contemporaneità gli offriva combattendo con gli stessi mezzi. Ecco dunque che alla versione cartacea mensile, nel 2010 viene accostata la piattaforma online della rivista denominata Alfabeta2.
Qualcuno potrebbe affermare che già in tale decisione è riscontrabile una perdita di concretezza a favore di un mondo virtuale che fagocita tutto senza rimpianto. Ma, ancora una volta, Alfabeta e Alfabeta2 dimostrarono che niente è realmente perso, e con la lucidità intellettuale che caratterizzava i temi e le scelte operate dai redattori della rivista, anche la versione digitale si conferma sinonimo di qualità. Gli argomenti affrontati in Alfabeta2 infatti seppur meno settoriali e lunghi (perché la pubblicazione in internet ha le proprie regole), non perdono il loro stile dialettico e la capacità di analisi critica che, già nel cartaceo, servivano per far riflettere i lettori.
Diventa complice di menelique magazine, è uscito il numero uno, ‹I futuri del lavoro›.
La redazione online infatti vanta ancora della collaborazione di Eco, Calabresi e Ferraris, aggiungendo le firme di Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Achille Bonito Oliva, nonché di giovani ricercatori e redattori provenienti da diversi campi di studio. Tale connubio di ‹voci› differenti permette a Alfabeta2 di inserirsi nel panorama digitale senza rinunciare alla qualità di ciò che divulga. Non a caso il poeta e critico Andrea Inglese (anch’egli membro di Alfabeta e curatore dell’edizione online) con un riferimento che rimanda al Paese senza di Alberto Arbasino, definisce il comitato di Alfabeta come un popolo di ‹Intellettuali Senza›. E a ribadire tale concetto sono anche Umberto Eco e Andrea Cortellessa che intitolano i loro primi articoli della rivista web rispettivamente: Alfabeto per intellettuali disorganici e Intellettuali anno Zero.
L’opportunità di avere una piattaforma online inoltre consente uno scambio in tempo reale tra i lettori e la redazione, incentivando un dialogo pubblico che approfondisce sotto vari punti di vista le questioni trattate. Nella presentazione dell’editoriale infatti si legge: ‹Ci pare che il nostro di tempo sia contrassegnato da una nuova emergenza culturale, antropologica, economica. Dunque politica›, ribadendo così l’importanza di un intervento culturale slegato dalle gerarchie e aperto a chiunque ne voglia far parte. Tuttavia le pressioni della comunicazione di massa che pretende testi sempre più brevi, popolari e accessibili a tutti, forma una crepa nel sistema informativo che vede la carta stampata soccombere, di nuovo, al potere strabordante dei media digitali e delle notizie a prova di click. La maggior parte degli articoli che popolano il web infatti si caratterizza per un’esposizione accattivante e semplice dei contenuti, evitando terminologie troppo specialistiche e cercando di coinvolgere il lettore attraverso file multimediali come video o link con cui il fruitore può interagire prendendosi una pausa dalla lettura.
Ora, il fatto che l’attività della lettura abbia bisogno di supporti altri per resistere deve far riflettere, oltre che preoccupare
perché una società che fa della diffusione delle informazioni un mero intrattenimento con scopi finalizzati prettamente al guadagno o all’aumento dei followers, è un società che di fatto ha perso. Da ciò si può dedurre la difficoltà che trovano i giornali stampati a remare in un mare con una corrente contraria: l’attracco c’è ma è lontano e per raggiungerlo bisogna fare dei compromessi. Nel 2014 senza troppa sorpresa, visto il contesto sociale in cui si colloca tale decisione, ha fine l’edizione mensile cartacea di Alfabeta, rimanendo tuttavia attiva Alfabeta2 che da quel momento inizia a dare vita a rubriche come Alfabetapiù e Alfadomenica, e aprendo il Cantiere ossia uno spazio di dialogo e confronto aperto ai soci dell’associazione. Sebbene il dibattito all’interno della piattaforma online Alfabeta2 sia attivo e sempre contraddistinto da articoli di spessore, non si può, nella scelta di rinunciare alla parte stampata, non vedere un fallimento. Un fallimento che coinvolge e ha coinvolto la maggior parte dei contenitori culturali che si vogliono posizionare fuori dal ruggito rumoroso della massa. E a perdere in questa guerra di valori discordanti è come sempre il lettore che si trova privato di uno strumento fondamentale per interpretare la realtà.
La soppressione del formato cartaceo delle testate giornalistiche non è soltanto la vittoria del mondo virtuale su quello reale, ma evidenzia soprattutto un cambiamento delle tecniche comunicative e di fruizione che, come già esposto, tendono a preferire formati leggeri e veloci a discapito della complessità di forma e contenuti. Seguendo questa riflessione ciò che emerge è la constatazione di quanto il panorama della comunicazione sia in buona parte in mano alle cosiddette ‹disruptive technologies› (termine che compare per la prima volta nel testo The innovator’s dilemma di Clayton M. Christensen), e di come esse influenzano il settore culturale così tanto da renderlo succube delle infauste leggi del web.
E arriviamo così a oggi: 2020. Alfabeta non esiste più. Non esiste né nel web né nella carta stampata, anche se gli articoli online resteranno disponibili in rete fino alla fine dell’anno per poi essere inclusi all’interno dell’archivio Balestrini.
Viene da domandarsi: di chi è la colpa? Ma forse un vero e proprio responsabile non c’è. A determinare questa scelta (come si legge nel loro sito) è stata la consapevolezza che dopo il decesso del fondatore Nanni Balestrini, avvenuto nel maggio del 2019, la redazione si è trovata privata di un caposaldo indispensabile per continuare l’attività editoriale. Dunque: ci risiamo. Dopo l’accostamento del formato digitale a quello stampato e la successiva soppressione dei numeri mensili cartacei; ecco che giunge la chiusura definitiva di Alfabeta2. E al sentimento di amarezza che si diffonde nell’apprendere la notizia, un dispiacere profondo fa nascere sempre il medesimo interrogativo:
come e perché si è arrivati a questo?
Sebbene l’informazione tramite la stampa sia in crisi: com’è stato possibile che pure la piattaforma online di Alfabeta non sia riuscita a resistere in un’era in cui internet è praticamente tutto?
La progressiva chiusura di siti internet di quotidiani o magazine però non è una novità, già nel 2004 lo studioso di new media Vin Crosbie, nel suo articolo What newspapers and their web sites must do to survive, asseriva che tali siti fallivano perché la loro immagine e tipo di comunicazione erano strettamente dipendenti dalla loro versione cartacea di riferimento, per farla breve non stavano al passo coi tempi. In questo caso, dunque, bisogna riflettere sulle attuali dinamiche editoriali che governano il mondo digitale… e avviando tale quesito si ritorna al nostro punto di partenza: non c’è più spazio per le parole. Quelle parole tanto decantate da Flaiano, oggi, si sono perse, sepolte nel caos ipertestuale composto da icone, loghi, slogan e citazioni che al fruitore non chiedono alcuno sforzo se non un istante di tempo. A fronte di ciò, una dissertazione scritta approfondita e accurata dei fenomeni non ha più valore e, forse, modo di esistere. E di conseguenza, ci si chiede anche: che fine hanno fatto i lettori? Dare per scontata l’estinzione definitiva della comunità dei lettori partecipi e consapevoli e che non si accontentano di recepire frasi costruite ad hoc per essere ammaliati, è un’ipotesi che non intendo considerare. Anche se è pur vero che, purtroppo, la maggior parte degli utenti che navigano nel web spesso preferiscono approcciarsi a testi superficiali. Ma credo anche che oltre a questi lettori distratti, vi siano anche coloro che intendono la lettura come una possibilità di crescita personale e intellettuale, e che in piattaforme come Alfabeta2 trovavano soddisfatte le loro esigenze.
D’altra parte però si può comprendere anche la scelta di Alfabeta2, che oltre che aver perso uno tra i membri più importanti della propria redazione, non si sente di fare più parte di un sistema comunicativo che considera il lettore come un semplice algoritmo e in cui la visibilità dei contenuti ha scardinato la qualità. Un’inversione di valori, questa, che noi possiamo combattere.