Sguardo internazionale / 11 min
L’oppressione dei Roma in Romania
La marginalizzazione del popolo Roma e le discriminazioni di cui è vittima possono essere comprese solo alla luce di una storia a lungo ignorata che ha origine nel XV secolo, quando venne reso schiavo.
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Il continente europeo è la casa di molte etnie e nazionalità differenti. Con il rafforzamento degli stati-nazione, alcune di queste comunità non hanno mai trovato uno spazio vitale dove vivere liberamente.
L’esempio più evidente è il popolo Romaní, anche chiamato Rom o Roma. I Roma arrivarono in Europa nel XV secolo, dopo un lungo viaggio che era cominciato nell’India del nord. Inizialmente si erano sistemati nel sud-est dell’Europa, in seguito si diffusero in tutto il continente, diventando gradualmente la parte più marginalizzata della società. Proprio per questo motivo, nel 2005, dodici paesi europei (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovacchia e Spagna) hanno lanciato l’iniziativa “Decade per l’inclusione dei Rom 2005-2015”. Questi paesi si sono accordati per migliorare le condizioni socio-economiche e l’inclusione sociale dei Roma lungo tutta la regione. L’iniziativa era basata su un approccio multidimensionale che includeva politiche educative, abitative, sanitarie e occupazionali. Lo scopo principale era restringere il gap nel welfare e nelle condizioni di vita tra la popolazione Roma e non-Roma. Tuttavia, i risultati sono stati esigui e tutt’altro che soddisfacenti.
I Roma rimangono indietro in tutti gli indicatori socio-economici in ogni parte d’Europa.
L’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha fornito i dati che illustrano questo divario in tutti i paesi europei dove vive una comunità Romaní consistente: solo il 27% di tutta la popolazione Roma continua a andare a scuola dopo il compimento dei 16 anni, mentre la percentuale della popolazione non-Roma arriva fino al 70%. In termini di stabilità del lavoro, l’11% dei Roma ha un contratto di lavoro a tempo pieno, a differenza del 37% dei non-Roma, correndo quindi un rischio doppio di cadere sotto la soglia di povertà. Infine, il 46% dei Roma si sente discriminato a causa della sua appartenenza etnica, a differenza del 4% dei non-Roma.
Ma c’è di peggio. I partiti di estrema destra stanno prendendo sempre più potere, cosa che rende l’inclusione dei Roma molto più difficile. Vari studi hanno evidenziato che le condizioni di povertà economica e sociale che affliggono i Romaní non possono essere spiegate del tutto da fattori oggettivi e concreti come l’inclusione scolastica o le condizioni abitative. Ci sono altri fattori, non catturati dalla statistica, che impediscono ai Roma di ottenere posizioni adeguate nella società. In altre parole, i pregiudizi e gli stereotipi danno forma a un razzismo che intrappola i Romaní in una rete di oppressione. In quest’ottica, diventa fondamentale capire perché esista questo forte e diffuso sentimento contro i Roma, quale ne sia l’origine e quali meccanismi lo alimentino.
La Romania è il paese dove i Romaní rappresentano la più grande minoranza e nello stesso tempo la più grande comunità Roma del mondo.
Perciò, dando uno sguardo alla storia di questa etnia in Romania è possibile studiare il razzismo strutturale che li marginalizza da secoli.
La Romania infatti è uno dei dodici paesi che ha aderito all’iniziativa “Decade per l’inclusione dei Rom”. È anche uno stato che riconosce costituzionalmente la specifica etnia Roma come una minoranza ufficiale fornendole rappresentanza politica nel parlamento rumeno. Nonostante questo, la condizione dei Roma in Romania è terribile. La storia rumena e il modo in cui l’identità Roma è stata costruita in Romania potrebbero perciò fornire alcune valide idee del perché il progetto europeo per l’inclusione dei rom sia fallito.
Schiavi
In Romania, come nel resto dell’Europa, l’odio contro i rom viene normalizzato e diffuso tra i suoi cittadini. Le persone non hanno paura di dichiarare in pubblico il loro risentimento contro questa minoranza e lo stato rumeno allo stesso modo non salvaguarda questa cultura in modo adeguato. Per capire pienamente e in profondità il razzismo strutturale contro i Roma in Romania e da dove abbia origine, è fondamentale tornare indietro nella storia, al tempo del loro arrivo nella regione. Come scrive Oliver Peyroux in Fantasies and realities fuelling child trafficking in Europe, la comparsa dei Roma in Romania nel XV secolo è stata collegata alla necessità di manodopera nelle aree agricole e al ripristino della schiavitù nelle regioni della Moldavia e della Valacchia, oggi incluse nel territorio rumeno, che è rimasta in vigore fino al 1856. Perciò,
per quasi 500 anni, nella maggior parte del territorio i Roma sono stati “robi” (schiavi, in rumeno).
“Questo ha plasmato un’identità sociale Roma attraverso i decenni. La schiavitù è durata per più di 500 anni. Tutti i pregiudizi collegati a essa si sono diffusi attraverso la storia e hanno avuto un grande impatto sulla percezione dei rumeni e su come il razzismo funziona oggi”, spiega Ciprian Necula, un attivista Roma e sociologo che combatte per l’inclusione sociale e economica dei Roma in Romania. “Come sai, in USA il termine dispregiativo per chiamare un afroamericano è ‘nigga’, per noi in Romania è ‘tigan’, che può significare sporco, sciatto”, dice Necula. Le parole possono essere strumenti potenti con i quali un’identità collettiva, costruita su stereotipi e sulla storia, assume una connotazione squalificante che perdura nel tempo. Ciprian non ha dubbi: “Il fatto che ancora oggi i Romaní sono i più poveri tra i poveri è legato senza dubbio al loro passato”.
Il sociologo è convinto che l’istruzione abbia avuto un ruolo centrale in questo processo. Più precisamente, la mancanza di un adeguato insegnamento della storia Roma nel paese ha contribuito a riaffermare stereotipi discriminatori. “Io non credo che questo sia casuale. Suppongo sia un deliberato tentativo di dimenticare gli episodi drammatici che hanno oppresso la mia comunità per secoli. Una mancanza di conoscenza che ha costruito ignoranza e che permette la diffusione di stereotipi sui Romaní. Per questo, quello di cui noi abbiamo bisogno è un programma statale di educazione di massa”, dice Ciprian. La scuola è essenziale, quando si parla di coscienza collettiva dei cittadini. Se una democrazia non insegna adeguatamente la storia di tutte le minoranze e etnie, fornendo gli strumenti per capire le differenze culturali e sociali, è difficile combattere il razzismo. Quando un popolo non ha la conoscenza per formarsi opinioni indipendenti basate su fatti vari e è in balia dei propri sentimenti che ora si mescolano nella caotica scatola dei social network e che polarizzano i discorsi, allora diventa davvero difficile combattere contro le dinamiche dell’oppressione. Perciò, la storia non deve fermarsi alla schiavitù, ma deve arrivare fino ai giorni nostri.
Dalla fine della schiavitù a oggi
Dopo la fine della schiavitù, la miseria dei Roma è continuata: erano privi di formazione professionale e solo una piccola percentuale ricevette delle terre. Questa condizione sfavorevole durò fino al 1941, con l’ascesa del fascismo in Romania e la presa del potere da parte di Ion Antonescu. “Questo fu il peggior periodo per noi, o almeno il più drammatico. Tra il 1941 e il 1942 il regime fascista rumeno ha deportato tra le 25mila e le 36mila persone verso i campi di concentramento della Transnistria, e circa 11mila vi morirono. Tuttavia, nel frattempo, i soldati Roma combattevano spalla a spalla con i soldati rumeni nella Seconda Guerra Mondiale per lo stesso regime che stava uccidendo la nostra gente. Questo fu veramente vergognoso”, dice Necula.
Poi, nel 1947, arrivò al potere il regime comunista. Come risultato, i Roma furono costretti a diventare stanziali e vennero assimilati nella forza lavoro della società socialista. Negli anni ’80, Ceaușescu spostò con la forza interi villaggi e quartieri. “L’agenda comunista sui Roma era piuttosto dura e diretta. Ovunque venissero trovati, venivano costretti a stanziarsi e a lavorare” spiega Ciprian. Poi, una volta stabilitisi in un’area, erano costretti a lavorare in fattorie collettive o in stabilimenti industriali. Ceaușescu non era interessato a capire le differenze sociali e culturali dei Roma, aveva bisogno di forza lavoro per la produzione rumena e per le provviste di cibo. Non avrebbe potuto avere, sul suolo rumeno, un popolo che non stava lavorando e nello stesso tempo che usufruiva di servizi e strutture.
Il regime comunista era insensibile alle specifiche necessità di una minoranza storicamente oppressa e non prese nessuna misura contro lo stigma che circondava i romaní. Tuttavia, come scrive N. O’Higgins in It’s not that I’m a racist, it’s that they are Roma, per la prima volta nella storia i Roma si vedevano garantito l’accesso a un’istruzione di base e al lavoro. Tuttavia, questo periodo di apertura ebbe vita breve e la situazione dei Roma peggiorò drammaticamente dopo il 1989. L’inizio della dissoluzione dell’Unione Sovietica segnò in Romania una fase di ritirata dello stato e di un neoliberismo predatorio. Essendo storicamente al fondo della scala socio-economica, i Roma vennero spinti in un cono d’ombra dove si incontravano economie formali e informali. Questo significa che molti vennero lasciati senza un impiego e senza alcuna protezione da parte di ammortizzatori sociali. Oltre a questo, quando ci fu la redistribuzione dei beni espropriati durante il regime, i Roma furono esclusi dal processo di riassegnazione delle proprietà. Per esempio, sebbene durante il regime molti di loro fossero divenuti proprietari dell’abitazione dove vivevano, non poterono fornire alcuna prova del titolo di proprietà precedente e perciò non poterono ricevere alcun riconoscimento legale.
Lo stato post-comunista è responsabile della costruzione di una povertà ancora più razzializzata.
Infatti, come argomenta Iván Szelényi in Poverty Ethnicity and gender in Transitional societies,“sia la dimensione che il carattere della povertà nell’Europa dell’est sembrano essere cambiate. […] La classe sociale, l’etnia e/o il genere giocano un ruolo più significativo di quello che avevano in passato in termini di predizione o spiegazione della povertà”. La riduzione dello stato e la transizione a un’economia di mercato hanno peggiorato le condizioni economiche e sociali dei Roma, come ha dimostrato Viorel Achim in The Roma in the Romanian History. La mancanza di stabilità lavorativa, il taglio delle tutele da parte dello stato sociale, l’attivo affievolimento del supporto pubblico per le famiglie marginalizzate hanno danneggiato ancora di più la comunità Romaní.
Il livello della discriminazione e l’atteggiamento negativo verso i Roma è divenuto davvero pervasivo e forte. Un sondaggio indipendente condotto nel 2012 mostra che il 46% dei rumeni si sentirebbe poco e molto poco a suo agio con una persona Roma, il 46% considera i Roma pigri, il 45% li vede come violenti e il 35% come disonesti. Questo sentimento di repulsione potrebbe spiegare perché, nei dati del censimento nazionale del 2011, sono stati registrati solo 614.010 Roma residenti, sebbene le stime parlino di circa 1,8-2,5 milioni. Infatti, molti Romaní celano la propria appartenenza culturale per paura. “Alcune persone, per riuscire a essere integrate nella società rifiutano la propria identità”, spiega Ciprian. “Bisogna considerare che per la deportazione del 1941 fu usato un censimento ufficiale per deportare i Roma, che era basato sulla lingua e sull’abbigliamento. Le persone scelsero di non parlare romaní o di vestire abiti tradizionali. Rifiutare l’identità fu una tattica di sopravvivenza. E questa paura è ancora viva”. Lo stesso Ciprian ha imparato il romaní solo da adulto, poiché i suoi genitori non erano in grado di dire nemmeno una parola. Suo cugino, nato da una coppia mista Roma-rumena, ha scoperto il suo retaggio Roma solo da adulto, perché i suoi genitori gli avevano tenuto nascosta quella parte della famiglia. Quando scoprì le sue origini fu un grande shock per lui. Nonostante questo, Ciprian può immedesimarsi con suo cugino e in tutti quei Roma che vogliono mescolarsi. “Perché dovrei dire a uno straniero, includendo anche i rumeni, che sono Roma? Non c’è alcun beneficio in questa società nell’essere uno di loro, al contrario ci sono un sacco di stereotipi, pregiudizi e rischi nell’incarnare questa identità. Mentre se si è un membro di un’altra minoranza etnica, per esempio un tedesco, le persone non avvertono nessun problema nel dichiarare la propria appartenenza culturale”, continua Ciprian.
Lo squallore odierno
Oggi, in tutti i paesi dell’est Europa, Romania inclusa, i Roma hanno una sovra-rappresentazione tra i poveri e la maggioranza di loro tende a essere estremamente povera, nonostante queste subalternità siano difficilmente riconosciute come tali. Infatti, in termini di abitazione, meno del 50% delle case dei Roma messe a confronto con quelle del resto della popolazione ha un bagno, un sistema di fognatura o di acqua corrente, così come presenta meno della metà della superficie e del numero di stanze per persona. Anche l’accesso all’energia elettrica è limitato, se comparato al resto dei rumeni. Tutto questo messo assieme crea un ambiente non salutare per le persone Romaní e contribuisce anche a causare gravi problemi di salute. In aggiunta, i bassi livelli di presenza scolastica hanno ripercussioni nel mercato del lavoro dove la maggior parte dei Roma è disoccupata, impiegata con mansioni poco qualificate e spesso in nero. Questo implica che di frequente ai Roma manchi una protezione sociale e che non abbiano accesso alla pensione. Per le donne Romaní queste dinamiche sono drammaticamente più forti.
Di solito, si crede che il rubare sia una parte essenziale della cultura e delle tradizioni dei Roma.
Come se essere un onesto “tigan” fosse qualcosa di straordinario, incredibile. Livia Jaroka è un’antropologa ungherese e il primo membro Romaní del parlamento europeo. In un’intervista per il New York Times ha detto: “La spiegazione culturale per la criminalità Roma è un nonsense. È una questione economica”. Infatti non prendere in considerazione l’ambiente marginalizzato e oppressivo dove vive la maggior parte dei Roma è fuorviante. Tuttavia, Ciprian ha un’opinione differente su questo punto: “Anche riguardo al problema delle attività criminali la questione è abbastanza problematica. Certo, nella nostra comunità ci sono ladri e borseggiatori. Ma i rumeni generalizzano e dipingono tutti i Roma come coinvolti in attività losche. Ma esistono statistiche sull’etnia delle persone in carcere, pubblicate per errore dal Ministero della giustizia, cosa che al momento è incostituzionale in Romania. Tuttavia queste statistiche dimostrano che la percentuale di Roma nelle prigioni rumene è il 4%, praticamente niente, se si considera che la percentuale di Roma rispetto a tutta la popolazione rumena è del 10%”.
Grazie alla “Decade per l’inclusione dei Rom 2005-2015”, la presenza dei giovani Roma nelle scuole è cresciuta anche in Romania. Tuttavia questo miglioramento non ha segnato nessun significativo risultato positivo in termini di impiego e di salari. Esistono ancora enormi differenze nel mercato del lavoro tra Roma e non-Roma, e vari studi hanno mostrato che questa disparità non può essere completamente spiegata dalle differenze in termini di risultati educativi, e che più di un quarto delle differenze di occupazione non può essere spiegata da caratteristiche osservabili. Questo significa che i romaní affrontano discriminazioni e razzismo che non possono essere tradotti in cifre ma che tuttavia impediscono loro di raggiungere traguardi economici e sociali.
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