AI e scarsità d’acqua
La siccità che stiamo vivendo in Italia in questi mesi non è una sorpresa: due terzi della popolazione mondiale sarà minacciata dalla scarsità d'acqua entro il 2025, ma l’intelligenza artificiale può aiutarci.
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Il leggendario scrittore scientifico Arthur C. Clark una volta ha scritto: ‹è inappropriato chiamare questo pianeta Terra quando è chiaramente Oceano›. Al giorno d’oggi, l’ansia mondiale sull’innalzamento del livello del mare potrebbe facilmente portarci a credere che nel mondo ci sia fin troppa acqua, ma la realtà è un’altra. L’acqua che necessitiamo per sopravvivere è in realtà estremamente rara. L’acqua potabile copre solo il 3% del nostro pianeta, due terzi dei quali sono bloccati in ghiacciai o in luoghi inaccessibili.
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Nell’ultimo secolo, l’uso e la domanda globale di acqua sono cresciuti rispetto all’incremento della popolazione. A oggi, 1.1 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua pulita e 2.7 miliardi ne soffrono la scarsità per lo meno un mese all’anno.
L’inizio della crisi climatica, provocata in primo luogo dall’agricoltura intensiva, sta alterando i modelli meteorologici e idrici in tutto il mondo, causando forti siccità, periodi di piogge irregolari e carenze concentrate pesantemente sul sud del mondo. Senza l’innovazione strutturale e sociale, la situazione non potrà che peggiorare:
due terzi della popolazione mondiale sarà minacciata dalla scarsità d’acqua entro il 2025.
Come in molti altri ambiti, l’intelligenza artificiale si sta facendo strada per provare a risolvere i problemi riguardanti la scarsità d’acqua. Al momento vi sono numerose soluzioni in fase di ricerca, sviluppo e implementazione. Alcune hanno a che fare con la gestione dell’acqua per prevenire fuoriuscite, blocchi e danni causati dalle infiltrazioni di acqua piovana, questo può avvenire tramite combinazioni di sensori, comunicazione via satellite, analisi e piattaforme di notifica degli eventi per fornire monitoraggio in tempo reale dei sistemi fognari delle megalopoli. L’intelligenza artificiale viene utilizzata anche per gestire il flusso di acqua pulita e fognature, con sensori applicati alle porte per controllare i flussi nelle reti idriche e per effettuare diagnosi che possono risolvere perdite o inquinamento delle acque. Altrove, l’intelligenza artificiale viene utilizzata per meglio comprendere l’effetto della deforestazione sulla gestione dell’acqua, prevedere le fioriture algali e monitorare la disponibilità di acqua potabile.
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Una dei pionieri dell’IA è la dottoressa Kala Fleming, ricercatrice, consulente per l’innovazione e ingegnera. Con la sua startup, Diaspora AI, la dott.ssa Fleming rende accessibili i dati sulla diaspora non sfruttati per aiutare a rendere le città dell’Africa e dei Caraibi più connesse, eque e vivibili. Utilizzando i big data, il team crea soluzioni a molti degli ostacoli che impediscono a coloro che hanno più bisogno di acqua di accedere a una fonte affidabile. Gran parte del lavoro e della sua ricerca si è concentrata sugli insediamenti informali in Kenya e nei Caraibi, ‹dove l’approvvigionamento idrico è solitamente intermittente, spesso servito da tubazioni disponibili a periodi alterni che viene poi supportato da camion di proprietà sia di società di servizi pubblici che di fornitori privati›.
La dott.ssa Fleming spiega che in questo caso ‹l’infrastruttura distribuita è il punto centrale del problema›. L’infrastruttura distribuita, che sarebbe l’infrastruttura idrica, connette l’energia, l’acqua e le comunicazioni attraverso vaste reti mondiali. L’obiettivo è contribuire a rendere il flusso di energia, informazioni e acqua stessa sempre più accessibile sia a chi abbia competenze tecniche che agli utenti finali.
Se parliamo del lavoro di Fleming in Kenya, questa strategia si manifesta con SMAJI, una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale che risolve il problema della scarsità d’acqua per i proprietari di serbatoi. Vivere a pochi minuti da un chiosco d’acqua al momento non garantisce di avere effettivamente acqua disponibile: è qui che entra in gioco SMAJI. Serbatoi d’acqua intelligenti, costruiti da Fleming e dal suo team, assicurano un’alimentazione continua di dati (aggiornati ogni dieci minuti) trasmessi poi, tramite SMAJI, ai venditori dei chioschi e ai camion dell’acqua, che sono così informati sui livelli dell’acqua nelle cisterne comunitarie. L’impatto? ‹Con il nuovo servizio in funzione, i serbatoi più trascurati, che in precedenza si sarebbero asciugati in poche ore, sono ora in grado di servire meglio centinaia di utenti a settimana come previsto›. Recentemente Diaspora AI ha anche sostenuto, in collaborazione con Oxfam, un gruppo comunitario guidato da donne a Nairobi, tramite l’installazione di serbatoi intelligenti volti a migliorare la disponibilità di acqua nei chioschi.
Tuttavia, la dottoressa Fleming riconosce i limiti dell’intelligenza artificiale.
I problemi di scarsità d’acqua sono vasti, complessi e fortemente influenzati dalla geopolitica.
Per esempio, sarebbe fuorviante credere che gli sviluppi riportati saranno in grado di risolvere il problema nella sua interezza o di affrontare questioni infrastrutturali più ampie.
Ci sono anche preoccupazioni sul fatto che l’IA non dovrebbe essere necessariamente applicata a tutte le aree interessate dalla scarsità d’acqua. Non dovrebbe spettare all’IA la responsabilità di prendere decisioni complesse che cambiano la vita delle persone, come quelle che reindirizzerebbero l’acqua in eccesso dalle città alle aree rurali popolate. L’intelligenza artificiale, con tutti i suoi benefici, potrebbe esasperare le disuguaglianze nella distribuzione in un modo simile a quello che si osserva con l’elettricità. Sebbene l’elettricità sia la norma nel Nord del mondo e abbia reso molte vite più confortevoli e produttive, quasi un miliardo di persone in tutto il mondo non vi ha ancora accesso. C’è il rischio che si crei una dinamica del tipo ‹chi lo progetta per primo, vince›.
Inoltre, Fleming spiega che ‹con l’intelligenza artificiale non puoi semplicemente affidarti alla programmazione, hai bisogno di expertise e di sapere quali sono i problemi reali che stanno colpendo le persone sul campo›. Una conoscenza ben studiata e praticabile della sicurezza alimentare locale, dei problemi idrici e della salute è stata vitale per il successo di SMAJI. In un senso più ampio, la dottoressa Flaming sostiene che ‹capire come l’acqua viene utilizzata, sprecata e collegata in tutto il mondo ci consente in definitiva di riconoscere dove stiamo fallendo come comunità globale›.
Nonostante tutte queste preoccupazioni, se applicata in modo appropriato e in tandem con un’accurata esperienza nel settore, l’infrastruttura distributiva può fare un’enorme differenza pratica nell’alleviare la scarsità d’acqua laddove altri tentativi si sono bloccati o sono falliti. Il lavoro portato avanti da Fleming e dalla sua organizzazione mostra che un monitoraggio accurato e un circuito di comunicazione semplificato che colleghi i servizi idrici, i loro camion e i chioschi, possono essere un punto di svolta. In definitiva, è anche di vitale importanza che questi progetti siano sostenibili nel lungo periodo. Il lavoro svolto con le ONG è stato straordinariamente gratificante, ma è stato anche ‹estenuante vedere i progetti finanziati dai donatori durare soltanto per un breve lasso di tempo›. Quando il progetto è terminato, le persone vulnerabili vengono abbandonate: le ONG svolgono un ruolo utile per aiutare a dare i primi soldi, ma hanno dei limiti. Tenendo questo a mente, Fleming lavora anche con clienti privati per aiutarli a capire come mai le loro bollette dell’acqua continuano a aumentare. Questo innesca quindi conversazioni sul loro ruolo nel ciclo dell’acqua nell’insieme e su cosa gli imprenditori possono fare in loco per limitare gli sprechi e le spese idriche a livello nazionale.
E ciò solleva maggiori interrogativi sul lavoro che deve essere svolto per rendere le questioni climatiche una priorità. In un mondo in cui il denaro è una motivazione più grande della moralità, Fleming crede che bilanciare il sostegno degli insediamenti informali mentre si lavora a fianco del settore privato potrebbe avere un valore inestimabile. Costruire la sua startup le ha permesso di creare un solido modello di business, uno in cui è possibile fornire un servizio anche a distanza, agire da un punto remoto sull’altra parte della città, ma ha anche rivelato che l’azione del governo è invece lenta e macchinosa. Anche se può essere una strada positiva da seguire nell’ottica di agire per il clima, dobbiamo riconoscere i fallimenti di una privatizzazione accelerata e le realtà di persone che vogliono soltanto fare il proprio lavoro. Il caso della tecnologia dell’acqua e dell’intelligenza artificiale mette in assoluta evidenza la lotta tra clima e politica all’interno del movimento ambientale, dimostrando che non è possibile evitarla.