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Cicero pro patria nostra: citazioni in salsa sovranista.
Cicerone ha una strana fortuna tra i sovranisti. Il 20 agosto 2019, anche Salvini lo ha citato travisando un pezzo del De Re Publica. Un'analisi della strumentalizzazione nazionalista dell'antico.
parole di:
In una vecchia puntata dei Simpson (S04x03), Homer smette di frequentare la chiesa per pigrizia e finisce per fondare una sua religione, scontrandosi con la propria famiglia che cerca di ricondurlo sulla retta via. Tra i vari tentativi, Marge invita a cena il reverendo Lovejoy, che prova a ammansirlo con citazioni evangeliche:
Reverendo Lovejoy: Homer, Homer! Vorrei che tu ricordassi Matteo 7,26: lo stolto che si è fabbricato la casa sulla sabbia.
Homer: E lei ricordi… Matteo… 21,17.
Reverendo Lovejoy: “E, lasciatili, uscì dalla città e se ne andò a Betania, ove passò la notte”?
Homer: Sì… ci pensi!
L’avvilente dibattito parlamentare al senato del 20 agosto scorso mi ha ricordato un po’ questa scena, con Conte nel ruolo di Lovejoy e Salvini in quello di Homer. Quando Homer prova a ribattere alla citazione scritturale di Lovejoy, infatti, non può che fallire, muovendosi in un piano in cui l’altro personaggio è necessariamente più preparato, anche se è bene non dimenticare che Homer è e resta il protagonista, con cui Average Joe deve identificarsi.
I discorsi cardine di Conte, Salvini e Renzi sono stati seguiti e commentati da tutto il paese. A un classicista viene un po’ la tentazione di leggerli come i discorsi di Cesare e Catone nel Bellum Catilinae sallustiano, rimanendo però deluso: il modello di un grande dibattito in senato, in cui i due protagonisti argomentano tra forme politiche e legali se i congiurati siano da risparmiare o da condannare a morte.
La retorica di Conte ha fatto ricorso a citazioni da Habermas, Buber e addirittura da Federico II, raffinatamente riattivato in chiave anti-leghista: effetti speciali che sembrano aver funzionato, creando quell’alone di stupor, credibilità e serietà che il premier voleva raggiungere con la scelta di questo registro. Conte ha dunque mostrato senza grosse sorprese di saper primeggiare nel gioco del discorso istituzionale, come buona parte dei docenti universitari saprebbe fare. Allo stesso modo, al di là dell’insistenza sulla responsabilità nazionale, che sembrerebbe tradire un certo nervosismo (excusatio non petita…), il discorso di Renzi si è rivelato piuttosto tradizionale e istituzionale. Molto diversi, i due Matteo, seppure Renzi sia sembrato leggermente più efficace, opponendo il Vangelo di Matteo alla menzione, topica e inevitabile, del Cuore Immacolato di Maria e alla citazione tutt’altro che sorprendente di Giovanni Paolo II, ormai consolidati ammiccamenti di Salvini alla destra conservatrice interna alla chiesa.
Più interessante, tra gli elementi retorici del dibattito, sembra essere la fascinazione per Cicerone che ha mostrato Salvini, e che fa capolino nel twitter sovranista.
Mi permetta, presidente, solo una sfumatura, e poi racconto a quest’aula e a chi è fuori da questa aula l’italia che abbiamo in testa e che abbiamo nel cuore, che non è un’italia che cresce dello zero virgola. Però è un’italia che merita visione, coraggio, lealtà, sacrificio, giustizia, quella vera, dove ci sono 60 milioni di presunti innocenti fino a prova contraria, non 60 milioni di presunti colpevoli [applausi]. Questa è la differenza tra uno stato di diritto e il ritorno alla giungla. Però a proposito di sovranità, di libertà e di europa, citazione per citazione, torno a Cicerone: “la libertà non consiste nell’avere un padrone giusto ma nel non avere nessun padrone” [applausi]. Io non voglio un’italia schiava di nessuno, non voglio la catena lunga come i cagnolini, non voglio catene. Siamo il paese più bello e potenzialmente più ricco del mondo e sono stufo che ogni nostro passo di governi, regioni, comuni, imprese o lavoratori debba dipendere dalla firma di qualche funzionario dell’unione europea. Siamo o non siamo un paese libero, sovrano, libero di difendere i suoi confini, le sue aziende, le sue spiagge.
La citazione diretta di Cicerone si snoda attorno al concetto di libertà, messa qui in relazione al rapporto tra italia e unione europea: libertas, quae non in eo est ut iusto utamur domino, sed ut nul<lo> (la libertà non sta nell’avere un padrone giusto, ma nel non avere alcun padrone). Il contesto immediato è opaco: dopo essersi lasciato andare alla sparata garantista in cui parla di “60 milioni di innocenti fino a prova contraria” (cercare coerenza con la sua comunicazione social sembrerebbe un esercizio di crudeltà in questo caso), Salvini introduce un altro tema, dicendo “a proposito di sovranità, di libertà e di europa, citazione per citazione, torno a Cicerone”, cui segue la citazione che ci interessa qui.
Il raccordo tra i temi risulta tutt’altro che evidente: chiaramente si trattava di punti separati nel suo canovaccio. Implicitamente, tuttavia, si forma una saldatura: gli italiani etnicamente definiti, e solo gli italiani, sono innocenti fino a prova contraria. L’associazione sarebbe difficile da sostenere senza ricorrere al razzismo biologico, ma è sottilmente proposta nell’accostamento degli argomenti. Di tutto il raccordo, forse, la clausola ritmica e rimata appare la cosa più “ciceroniana”. Per tracciare l’interazione con il testo ciceroniano (tratto da De Re Publica, 2.43), che si configura come un uso discinto dell’autorità antica, più da raccolta di aforismi che di cultura, è necessario analizzarne il contesto originale. Il passo è sventurato: seppure appaia al termine di un paragrafo sostanzialmente ben conservato, prima di una lacuna significativa nel testo (gli editori stimano circa 15 righe), arriva in un contesto completamente frammentario. Il paragrafo arriva dopo un’altra lacuna, stavolta di circa 35 righe. Tuttavia, è chiaro che, in un parallelo tra le costituzioni miste di Cartagine e Roma, Scipione, il portavoce ciceroniano nel dialogo in questione, stia descrivendo vantaggi e svantaggi della monarchia. Vediamo il passaggio completo:
Nam ipsum regale genus civitatis non modo non est reprehendendum, sed haud scio an reliquis simplicibus longe anteponendum, si ullum probarem simplex rei publicae genus, sed ita, quoad statum suum retinet. is est autem status, ut unius perpetua potestate et iustitia omnique sapientia regatur salus et aequabilitas et otium civium. Desunt omnino ei populo multa, qui sub rege est, in primisque libertas, quae non in eo est, ut iusto utamur domino, sed ut nul<lo>…
Infatti la forma monarchica non soltanto non merita biasimo, ma non so se non sia invece da anteporre di gran lunga alle restanti forme pure e semplici, nel caso che io dessi la mia approvazione ad una forma semplice di costituzione, ma a condizione che conservi la sua propria fisionomia. E questa consiste nel fatto che la salvezza, l’eguaglianza e la tranquillità dei cittadini siano rette dal potere ininterrotto e dalla saggezza di uno solo. Certamente ad un popolo che si trovi sotto un re mancano molte cose, ed in primo luogo la libertà che non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nell’averne nessuno…
[traduzione di L. Ferrero, rivista da N. Zorzetti, UTET, 1974]
Fuori dall’aforisma, il pezzo difficilmente potrebbe prestarsi alla critica di un’entità sovranazionale come l’unione europea che certo non ha alcun tratto della monarchia, quanto piuttosto problemi di democraticità che rendono alcune istituzioni in un certo qual modo oligarchiche (per forzarle nella ripartizione aristotelica dei regimi politici). Eppure quell’inciso ha una capacità immaginifica potente, che permette a qualcuno spregiudicato come Salvini di estrapolarlo dal contesto e riciclarlo in chiave (blandamente) sovranista. Si tratta chiaramente di una concezione di libertas come “libertà da” qualcosa. Come saprà ogni appassionato di storia romana o di letteratura latina, il tema è centrale nella vita politica della repubblica e diventa un vero campo di battaglia discorsivo nel I sec. a.C., come ha ben descritto Valentina Arena nel suo Libertas and the practice of politics. Sebbene il concetto di libertas posi su un’idea condivisa di libertà dalla dominazione altrui, ossia l’assenza di assoggettamento a un potere straniero o a un gruppo/individuo potente in politica interna, la contesa tra le due principali tendenze della politica istituzionale romana (optimates vs populares, una sorta di divisione tra conservatori e progressisti, che è ancora molto discussa nel dibattito accademico) si articola attorno ai modi di raggiungere questo concetto. Questa idea aveva un’efficacia potentissima nella retorica repubblicana al punto che fu chiaro a tutte le élite politiche, al di là della loro tendenza ideologica, che dovessero basare i loro discorsi politici su un’appropriazione e un’articolazione di questo concetto se volevano costruire attorno al proprio operato un certo consenso. Sembra ormai sostanzialmente condivisa negli studi accademici la posizione per cui la nobilitas dovesse necessariamente prestare attenzione a questo aspetto della vita pubblica: per estendere la propria egemonia su classi che avevano interessi differenti. Senza dilungarci troppo su aspetti specifici, la libertas romana ha avuto un enorme impatto anche negli studi liberali recenti, attraverso l’opera di quegli autori che appartengono a un cosiddetto neo-romanismo, come Quentin Skinner (Liberty before Liberalism, 1997) e Philippe Pettit (Republicanism: a Theory of Freedom and government, 1997), i quali, appunto, si basano su una concezione di libertà come assenza di dominazione, “libertà da” più che “libertà di”. Non si tratta di una novità recente della filosofia politica, ma di un concetto sviluppato nella prima età moderna, che trova tra i suoi massimi sostenitori filosofi come Niccolò Machiavelli o James Harrington.
Guardando all’uso del concetto di libertà nel discorso di Salvini, questa concezione neo-romana non sembra essere costantemente rispettata. Infatti all’inizio Salvini imposta la distinzione tra leghisti e democratici/5 stelle sull’essere “uomini liberi” o meno. Questa distinzione fa perno su un’accezione insolita, persino per il discorso politico leghista: la libertà di Salvini e della lega si risolverebbe nel potersi sottoporre al giudizio popolare. Per il fatto di non aver paura del voto, loro possono essere considerati liberi. È la libertà di chi non ha paura di perdere tutto, perché sa che non lo perderebbe. Non c’è alcuna dominazione in campo, la libertà che si indica è la libertà di prendere una decisione:
Con la grande forza di essere un uomo libero, quindi vuol dire che non ho paura del giudizio degli italiani, in questa aula ci sono donne e uomini liberi e donne e uomini un po’ meno liberi. Chi ha paura del giudizio del popolo italiano non è una donna o un uomo libero.
Anche appena dopo la citazione ciceroniana del De Re Publica commentata sopra, Salvini utilizza un’idea di libertà ambivalente:
Io non voglio un’Italia schiava di nessuno, non voglio la catena lunga come i cagnolini, non voglio catene, siamo il paese più bello e potenzialmente più ricco del mondo e sono stufo che ogni nostro passo […] debba dipendere dalla firma di qualche funzionario dell’Unione Europea. Siamo o non siamo un paese libero, sovrano, libero di difendere i propri confini, le sue aziende, le sue spiagge…
La tirata sovranista parte, sì, con un abbozzo di rifiuto della dominazione, attraverso una serie di metafore omologhe (schiava, cagnolini, catene) tutte afferenti al campo del rapporto servo-padrone, per poi però concretizzarsi nuovamente nella “libertà di” difendersi. La libertà di fare scelte politiche, di nuovo, di prendere decisioni. I due termini del pastiche in fondo funzionano l’uno con l’altro, in quella forma di narrazione post-liberale, ma la citazione è inutile, quasi un centone pseudo-culturale, puro appello all’auctoritas antica, come molta della destra americana fa e ha fatto in tempi più o meno recenti con Tucidide). In questo tipo di utilizzo, le citazioni classiche (e non solo), brutalmente decontestualizzate e spesso tagliate, modificate, mal tradotte, possono dire tutto e il contrario di tutto.
La forza del nome: l’autorevolezza delle pseudocitazioni.
Sui mostri generati dalla combinazione tra citazioni classiche e aforismari online si stanno moltiplicando le riflessioni, sia in quel settore che avremmo chiamato “fortuna dell’antico” (ora più comunemente detti reception studies), sia in ambito più strettamente filologico. Un articolo di Claudio Giammona e Elena Spangerberg Yanes del 2019 (liberamente scaricabile qui) può essere chiamato in causa in merito a una citazione pseudo-ciceroniana che appare di frequente in tweet legati a account sovranisti di destra. Il brano appare nella sezione di Giammona, focalizzata su citazioni distorte o modificate in opera a stampa e amplificate dalla rete:
Una nazione può sopravvivere ai suoi imbecilli ed anche ai suoi ambiziosi, ma non può sopravvivere al tradimento dall’interno. Un nemico alle porte è meno temibile perché mostra i suoi stendardi apertamente contro la città. Ma per il traditore che si muove tra quelle, la porta è aperta, il suo mormorio si sposta dalle strade alle sale del governo stesso. Perché il traditore non sembra un traditore. Parla una lingua che è familiare alle sue vittime ed usa il loro volto e le loro vesti, appellando alle profondità del cuore umano. Marcisce il cuore di una nazione; lavora in segreto come un estraneo nella notte, per abbattere i pilastri della nazione, infetta il corpo politico in modo inesorabile.
Giammona individua la fonte della citazione in un discorso del senatore americano Francis Millard Caldwell del 1965, “Cicero’s Prognosis”, in cui un collage di frasi pseudo-ciceroniane sono organizzate per risuonare con il contesto politico dell’epoca. La fonte di Caldwell tuttavia non era Cicerone stesso, ma Taylor Caldwell, scrittrice inglese, che compose il brano nel suo romanzo storico A Pillar of Iron, dedicato alla vita di Cicerone. La versione italiana deriva proprio dall’edizione pubblicata in italia l’anno successivo, con la traduzione di Agnese Silvestri Giorgi. Il brano è entrato nel dibattito politico italiano nel 2013 tramite un post apparso nel settembre di quell’anno sul blog di Beppe Grillo. Il post non esiste più, ma la frase campeggia ancora come didascalia al link sulla pagina facebook della (ex) ministra della salute, Giulia Grillo, in funzione anti-casta.
Nella curiosa parabola della citazione, la sua maggior diffusione in questi giorni è legata all’attacco dei parlamentari 5 stelle, rei, nella narrazione post crisi della lega, di aver tradito l’italia discutendo di un’alleanza con il PD, e con ciò diventando collusi della maligna unione europea. La troviamo così sempre attribuita a Cicerone in vari casi:
- condivisa più o meno di recente da numerosi account twitter sovranisti o youtuber sovranisti.
- In esergo al libro di Gabriele Sannino, Politica italiana e nuovo ordine mondiale. Storia e misteri della nostra classe dirigente, pubblicato nel 2016 da Fuoco edizioni, una casa editrice che pubblica una curiosa varietà di autori. Nel catalogo si può individuare una spiccata attenzione per quell’area che nella blogosfera italiana si ritrova attorno a L’antidiplomatico, caratterizzata talvolta da usi piuttosto liberi di concetti marxisti in chiave sovranista, e spesso vicina ai 5 Stelle.
- In un articolo di Angela Nicoletti dedicato al candidato sindaco del Partito Democratico a Cassino, Giuseppe Golini Petrarcone.
- In un post di Andrea Bianchi, casapound italia.
- Nel giornale sovranista terza pagina. Il loro account twitter, @bondenoco, risulta piuttosto esplicito, ritwittando notizie contro l’immigrazione, post di Fusaro e citazioni di Preve.
- In siti complottisti dedicati alle scie chimiche.
Il richiamo patriottico porta tutti questi soggetti, legati da elementi culturali sovranisti, a essere affascinati dalla pseudo-citazione di Cicerone, un’autorità che mostra curiose affinità con la contraddittoria posizione del sovranismo mainstream, convinto di essere il difensore del popolo contro le élite. Cicerone fu grande sostenitore di una politica di concordia, richiamandosi al concetto di populus e ai valori del mos maiorum e presentandosi sempre come difensore degli interessi di tutti. Tuttavia, tra gli studiosi di antichità, pochi sono disposti a accettare anche solo una forma edulcorata di questa auto-rappresentazione: l’avvocato di Arpino, homo novus, ossia non appartenente a una famiglia che avesse già ricoperto incarichi pubblici, divenne presto strenuo difensore degli interessi di senatori e equites, le prime due classi di censo. In altre parole, nel fare gli interessi delle élite, Cicerone tentò sempre di presentarsi come difensore degli interessi di tutti, soprattutto del popolo, al punto da dire più volte che era lui il vero popularis, giocando sui due sensi di popolo come parte e come totalità.
Forse è proprio questa la più grande fascinazione di questi nuovi populismi di destra per il tema: la possibilità di integrare e sussumere in un solo concetto il popolo-come-parte e il popolo-come-tutto.
Nella definizione di Laclau, per parlare di populismo c’è bisogno che una parte rivendichi di rappresentare la totalità. Nella trattazione di un liberale come Jan Werner Müller, elemento fondante di ogni populismo è l’esclusione di uno o più gruppi sociali dal novero del popolo legittimo: nella narrazione a 5 stelle delle origini, questo ruolo era occupato dalla casta, che abbiamo ritrovato nella prima diffusione della nostra citazione. Sebbene Salvini abbia riattivato senza nominarlo il frame della casta nel suo discorso, parlando di “paese reale e paese virtuale” e declassando la rappresentanza a forme virtuale, deteriore, il fascino del sovranismo di destra per una citazione come questa non si esaurisce in questo tipo di esclusione. Il concetto di “popolo”, grazie al suo sviluppo storico, gli permette infatti di fare un passo avanti: se il nemico interno della casta, del paese virtuale, rimane e viene additato come traditore, vengono esclusi implicitamente anche tutti quelli che non fanno parte del popolo-nazione. Ciò che resta come unico popolo legittimo sono i connazionali che supportano la linea sovranista, tutti gli altri non sono che traditori, nemici interni da eliminare.
Photo credit: Confartigianato Imprese, CC BY-NC-SA