NET93 Lavori prometeici e realismo domestico. Helen Hester / E04

Dare un genere a Prometeo: rischio e politiche collettive.

La seconda parte dell'articolo di Helen Hester, promethean labors and domestic realism.

Dare un genere a Prometeo: rischio e politiche collettive.

parole di:

Una politica prometeica rifiuta sia l’illusione – “la convinzione che chi è debole possa prevalere su chi è forte senza concentrare e organizzare le proprie forze” – sia la malinconia – “il sentire che l’emancipazione è qualcosa da rimpiangere più che da desiderare”¹. Nella sua globalità, tale politica potrebbe essere caratterizzata come uno sforzo emancipatorio di tipo trasformativo, capace di generare nuovi mondi, tecnologicamente attivo e orientato verso il futuro. Nel saggio Prometheanism and his critics, Ray Brassier sostiene che si tratta “semplicemente di affermare che non c’è alcuna ragione di supporre un limite predeterminato a ciò che possiamo raggiungere o alle modalità con cui possiamo trasformare noi stessi e il mondo”². Le dimensioni implicite di ciò in termini di politica di genere appaiono chiare attraverso la sua analisi, che dimostra in più di un’occasione un’affinità notevole con gli elementi chiave del tecnofemminismo – da un aperto timore di cedere il controllo delle nanotecnologie, delle biotecnologie, delle tecnologie dell’informazione e di quelle delle scienze cognitive (NBIC) ai magnati del capitalismo neoliberista, fino a (naturalmente) un interesse per la vita sintetica e alla messa in discussione del presupposto che la nascita sia un assoluto biologico.

Tutti gli elementi dell’esistenza, inclusi gli esseri umani e i loro processi riproduttivi, vengono quindi considerati mutevoli e aperti alla riprogettazione. 

Se, come afferma Brassier, “l’oltrepassare i limiti in senso prometeico risiede nel plasmare ciò che è dato, allora le linee emergenti del femminismo che preferiscono il sintetico all’organico, il mediato a ciò che non lo è, e l’idea di una natura-cultura tecnologizzata a quella inflazionata del “naturale”, potrebbero a ragione rappresentare esempi di una politica di genere prometeica”³. Come la figura mitologica greca, tali femminismi dimostrano un interesse per i processi attraverso cui la vita (sia biologica che sociale) è costruita e modellata, nonché una sana noncuranza dei limiti idealmente inamovibili e un’attenzione al potenziale liberatorio della tecnologia – la famigerata “integrazione prometeica”. Seguendo Shulamith Firestone (una prometeica sia di nome che di fatto!), lo xenofemminismo professa interesse per ciò che alcuni considerano “lo scopo culturale finale della tecnologia: la costruzione dell’ideale nel mondo reale”, e proprio per questo potrebbe trovare in Prometeo un modello adatto, nonostante i suoi legami mitici con l’arroganza, l’orgoglio e il machismo.

Diverse persone della sinistra contemporanea, infatti, sono già riuscite a sfidare l’associazione del titano con queste forme di spavalderia legate al genere. Toscano, per esempio, nel riprendere l’epiteto “prometeico” da Simon Critchley, dichiara che:

la figura di Prometeo non è, come molte critiche al marxismo hanno sostenuto, il capostipite di una specie di disastrosa hybris; Prometeo è il messaggero della questione aperta di come noi, creature che rantolano, possiamo riuscire a non essere assoggettati alle prerogative violente della sovranità. Le richieste e prescrizioni che una politica “prometeica” avanza non sono quelle di una distruzione nichilistica né sono infinite e impossibili da soddisfare; esse sono richieste specifiche ma incondizionate, basate sulle nostre capacità che, pur di certo limitate per natura, sono spesso molto più che sufficienti se coordinate e composte nell’azione di un soggetto collettivo, al fine di agire secondo una logica virtuosa, egualitaria e emancipatoria⁶

Per come viene qui descritta, una politica prometeica si basa su richieste che possono trovare risposta, volte a soddisfare obiettivi perseguibili e raggiungibili, per niente illusori né malinconici. L’aggettivo “prometeico” potrebbe inoltre adattarsi bene a quei femminismi contemporanei ambiziosi e controegemonici che rispondono all’appello di Stabile a un’analisi maggiormente sistematica e strutturale dell’oppressione di classe e di genere, analisi che potrebbe combinarsi efficacemente con l’organizzare politiche single-issue e di scala più piccola.

Le femministe non dovrebbero però cercare di adottare questa definizione senza sottoporla a un’attenta e critica disamina. I miti hanno una loro storia dopotutto.

Come nota Galloway, il raccontoprometeico include di fatto “tre momenti” – la narrazione non riguarda solo il Prometeo “mano lesta” ma anche il disattento Epimeteo e il munifico Hermes (personaggio identificato con il concetto di “genericità” in ragione della sua distribuzione di equità e giustizia a tutto il genere umano senza distinzioni). Comunque, nonostante le critiche all’apparente “brocialismo”⁸ della svolta prometeica, e nonostante citi con approvazione “l’universalismo dal basso” dello xenofemminismo come parte di un aspetto più olistico delle politiche emancipatorie, Galloway trascura un ulteriore nodo di questo nesso mitologico, ossia la storia di Pandora. Faremmo bene a ricordare che le trasgressioni di Prometeo sono identificate come ciò che spinse Zeus a punire l’uomo con la creazione della prima donna. Questo è di gran lunga l’elemento più ovvio e provocatorio da una prospettiva di politica di genere! Molte versioni del mito presentano un Prometeo a buon diritto sospettoso di Pandora, la donna originale vista come dono ingannevole, trasformando così il nostro geniale eroe in un’icona non del tutto appropriata alle iniziative femministe.

Dobbiamo diffidare dei significati profondi insiti nelle allusioni letterarie: le espressioni retoriche potrebbero essere cariche di un bagaglio culturale. Se però può sembrare riduttivo far notare che Prometeo rappresenta sia una mitologia interpretata secondo un genere sia un racconto mitologico del genere, è forse meno banale riconoscere che i tipi di attivismo prometeico immaginati da alcuni interpreti presentano netti ostacoli di genere alla partecipazione politica.

In primo luogo, è dimostrato che la capacità di rispondere a “una domanda universale (benché non infinita) di emancipazione umana” richiede non solo il possesso di determinate risorse finanziarie, sociali e cognitive, ma anche la libertà di impegnarsi nell’accettare un certo grado di rischio personale in termini di possibili scontri e violenze⁹. Questa libertà, affermerei, non è equamente disponibile per tutte le persone e probabilmente è limitata dagli oneri del lavoro riproduttivo, per esempio (intendendo con oneri le attività che riguardano il nutrimento e la cura dei futuri lavoratori, quelle che rinvigoriscono le forze di lavoro correnti e quelle che sostengono coloro che non possono lavorare, di fatto le attività giornaliere implicate nella sopravvivenza e nell’aiutare gli altri a sopravvivere). Secondo Toscano, una politica prometeica che cerca di “incrementare l’efficienza, preparare l’emancipazione, ridurre al minimo il dominio […] dovrà avere molta padronanza di sé, cosa che fa parte della disciplina – dopotutto, il riconoscimento della nostra ‘finitezza’ (o meglio, mortalità) è spesso una potente controargomentazione all’impegno politico (basta pensare alla propria famiglia, a cosa si potrebbe perdere e così via)”. Se il dominio è basato sullo sfruttamento della nostra mortalità – e specialmente sugli interessi e le paure che molto spesso impediscono la mobilitazione politica”, allora si deve riconoscere che il coinvolgimento nello sforzo prometeico (caratterizzato qui come una innata, anche se non speciale, pratica  autodistruttiva) è soggetto a determinate restrizioni. Il problema non è soltanto che le responsabilità legate alla riproduzione sociale cozzano con l’appello a un’attività politica concertata, sfiancante e che consuma risorse (benché ciò rimarrà un problema di ogni tipo di attivismo fino a quando i movimenti ignoreranno il ruolo delle infrastrutture sociali nel rendere possibile il coinvolgimento). È anche una questione di riconoscere che, per motivi strutturali, le preoccupazioni riguardo i bisogni essenziali sono potenzialmente più acute in alcuni individui (incluse le donne, ma non solo loro) che in altri. 

“Preoccupazioni e paure” non sono quindi distribuite a tutte e a tutti allo stesso modo, e diventa piuttosto difficile rimanere indifferenti all’autoconservazione di una persona se a essere messa a rischio non è solo la conservazione di sé. Per alcuni, l’esortazione al “pensa solo alla tua famiglia” non si può abbandonare così facilmente attraverso la disciplina e uno sforzo di volontà a fronte di responsabilità familiari, domestiche e assistenziali, e ciò dovrebbe spingerci a riflettere e a chiederci meglio che cosa consideriamo che sia significativamente politico. Vale la pena notare che “l’appello a Prometeo” di Toscano per certi aspetti può essere considerato diverso rispetto a quello prospettato da successive analisi, come quella di Brassier, nella quale le connessioni tra un’ambizione politica collettiva e ciò che concerne il rischio personale non sono affrontate così direttamente. Nonostante entrambi i punti di vista condividano il presupposto che “non si può avere una politica emancipatoria radicata nella paura” e che si dovrebbe denunciare un’etica di “autopreservazione a tutti i costi”, la visione di Brassier tende a operare a una certa distanza dall’idea di individuo coinvolto socialmente e pienamente incarnato¹º. Brassier può affermare che “una specie la cui unica preoccupazione è la propria conservazione non merita di esistere”, ma non è direttamente interessato alle reali implicazioni di ciò né le chiarisce. Il rifiuto di dare cieca priorità alla conservazione dell’umanità è di certo più facile da accettare quando si considera la questione a livello di specie che quando, per esempio, si considerano le vite in atto di specifici e vulnerabili individui che dipendono dal tuo lavoro retribuito e non retribuito per sopravvivere e progredire.

Anche se lo xenofemminismo potrebbe seguire il “tentativo di partecipare alla creazione del mondo senza doversi riferire a un disegno divino” e può aspirare con entusiasmo a una tecnopolitica controegemonica volta al futuro, impegnata nella riprogettazione di ciò che è dato, è cruciale che le persone tra noi che sono coinvolte nello sviluppo di questo progetto esprimano anche una certa cautela sulla definizione di “prometeismo”¹¹.  Per quanto possibile (e riconoscendo che sì, ci saranno situazioni in cui le richieste della collettività sopravanzeranno quelle dell’individuo e del.le persone a suo carico), l’impresa prometeica non deve essere posizionata in modo tale da contrapporla alle responsabilità immediate del lavoro riproduttivo fino al punto che le richieste di un individuo potrebbero essere soddisfatte solo a spese di un altro. Questo tipo di inquadramento delle politiche emancipatorie di sinistra rifiuta e esclude troppi individui con un conseguente arresto del dibattito, e può attivare proprio quelle fastidiose e rozze mascolinità militanti che critici ostili hanno preventivamente ritenuto tipiche di movimenti come l’accelerazionismo. Mi sembra ovvio che qualsiasi movimento emancipatorio degno di questo nome debba essere, per necessità, un femminismo. Come notano Camille Barbagallo e Silvia Federici, “la lotta riguardo alla ‘riproduzione’ è fondamentale per qualunque altra lotta e per lo sviluppo di movimenti di ‘autoriproduzione’, cioè movimenti che non separano il lavoro politico dalle attività necessarie alla riproduzione delle nostre vite, poiché non è sostenibile alcuna lotta che ignori i bisogni, le esperienze e le pratiche che la nostra riproduzione comporta”12. Inoltre, il prometeismo di sinistra tradisce il proprio impeto e le proprie ambizioni di una completa trasformazione sociale se fallisce nel fronteggiare l’intero fulcro dell’oppressione strutturale o nel portare politiche di genere  intersezionali all’interno della propria visione. “Brometeismo”, a dirla tutta! 

I femminismi contemporanei controegemonici devono cogliere le difficoltà legate alla richiesta di certi tipi di coinvolgimento politico e fare ciò che è possibile per ridurre al minimo le barriere di genere, classe e razza che ostacolano la partecipazione politica.

In altre parole, la nostra politica “prometeica” deve riconoscere che l’esperienza di vita di molte persone riduce la libertà personale di fronte agli obblighi che hanno verso gli altri, e che questo dovere non sminuisce l’importanza della libertà come obiettivo dell’autopadronanza collettiva. A livello individuale le persone possono agire limitate da vincoli materiali specifici e circostanze restrittive, ma a livello di specie “non c’è alcuna ragione di supporre un limite predeterminato a ciò che possiamo raggiungere o alle modalità con cui possiamo trasformare noi stessi e il mondo”¹³. Detto ciò, lo xenofemminismo dovrebbe insistere sulle affermazioni ostinatamente errate che riducono la sfera della riproduzione sociale a poco più di un controllo su un’ambizione collettiva e a un ostacolo alla risposta a esigenze che possono essere soddisfatte. Sebbene infatti le esigenze di un lavoro di cura presentino sicuramente delle complessità tra cui occorre destreggiarsi con prudenza, questa sfera del lavoro di genere offre anche particolari opportunità per un’azione “virtuosa, egualitaria e emancipatoria”¹⁴. In quanto segue osserveremo alcuni dei modi in cui il lavoro domestico è stato affrontato dalle pensatrici femministe  prima di valutare se gli spazi della vita domestica potrebbero essere o meno la base per un pensiero politico ambizioso – pensiero che va oltre il cosiddetto “folk political”.

Un luogo prometeico? Leggi qui il terzo episodio di Lavori prometeici e realismo domestico.

 

Pubblicato originariamente su: E-Flux Architecture, Artificial Labor, 2017

Tradotto da Silvia De Marco e Andrea Raviolo

 

¹ Alberto Toscano, The Prejudice Against Prometheus, STIR (2011)

² Ray Brassier, Prometheanism and Its Critics in #Accelerate: The Accelerationist Reader, a cura di Robin Mackay e Armen Avanessian, Urbanomic, Falmouth 2014, p. 470.

³ Questo potrebbe includere non soltanto lo xenofemminismo ma una miriade di altre posizioni tecnofemministe e postumaniste, come i recenti interventi di Paul B. Preciado e Alexis Shotwell, Ivi, p. 478

Alexander R. Galloway, Brometheanism, Culture and Communication (2017)

Shulamith Firestone, The Dialectic of Sex: The Case for Feminist Revolution, Farrar,Straus and Giroux,  New York 2003, pp. 170–171; trad. it. La dialettica dei sessi. Autoritarismo maschile e società tardo-capitalistica, Guaraldi editore, Rimini 1971.

Alberto Toscano,  A Plea for Prometheus, Critical Horizons 10, n. 2 (2009), p. 255.

Alexander R. Galloway, cit.

N.d.T: da “brocialism”, neologismo nato dall’unione di “brother” e “socialism”.

Alberto Toscano, A Plea for Prometheus, cit., pp. 254–255.

¹º Ray Brassier, Prometheanism and Real Abstraction  in Speculative Aesthetics, a cura di Robin Mackay, Luke Pendrell, and James Trafford, Urbanomic, Falmouth 2014, p. 77.

¹¹ Camille Barbagallo e Silvia Federici, Introduction,  The Commoner 15 (2012): 2

¹² Ivi, p. 485

¹³ N.d.T: dall’unione di “brother” e “prometheanism”, prometeismo. Vedi Alexander R. Galloway, Brometheanism, cit.

¹⁴ Ray Brassier, Prometheanism and Its Critics, cit., p. 470