Ribaltare la mappa della scienza
La mappa del mondo ci sembra fissa, eppure è una convenzione che il ‹Nord› stia ‹sopra›. Capovolgiamo una mappa così come dovremmo capovolgere la struttura dell'organizzazione del lavoro scientifico: far sedere finalmente al tavolo della scienza studiosə e scienziatə che finora sono statə esclusə per via della loro provenienza geografica.
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Quando ero una giovane studente a Durban, in Sud Africa, avevo un meraviglioso insegnante di geografia che ci fece delle lezioni su Vasco da Gama e i ‹Viaggi di Scoperta› intorno a Capo di Buona Speranza – il momento in cui le persone bianche arrivarono in Sud Africa e cambiarono tutto. Era all’incirca il 1997, quattro anni dentro il ‹nuovo› Sud Africa, e la mia classe fu una delle prima a avere studenti di diverse razze insieme.
Il nostro insegnante prese il mappamondo della classe e disse qualcosa che modellò da lì in poi la mia visione del mondo. ‹Chi traccia la mappa ha il potere›, spiegò. ‹Lə europeə nel 1500 volevano essere più vicinə al loro Dio, che viveva in cielo, così misero sé stessə in cima al mondo. Ma nello spazio non c’è nessun sopra e nessun sotto›.
Tolse il mappamondo dalla sua montatore e ci giocò come fosse una palla e lo lanciò delicatamente verso un ragazzino rumoroso in fondo. Lanciammo il mondo di qua e di là per qualche minuto, e quando fu di nuovo sistemato nella sua base, era invertito: noi ragazzinə di 11 anni di Durban avevamo deciso che saremmo stati noi sopra per un po’.
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Quando quell’immagine del mondo apparse in una recente pubblicazione sulla ‹decolonizzazione dell’ecologia› causò un po’ di trambusto. Sia io che i miei colleghi, Madhusudan Katti e Chris Trisos, avevamo passato anni a pensare al significato di fare scienza in modo differente. Noi tuttə siamo cresciutə nel ‹Sud Globale› – io e Chris in Sud Africa, Madhu in India. La posizione dell’India all’interno del Sud Globale è una buona immagine per l’argomentazione del mio insegnante:
sud significa povertà, nord significa ricchezza – India e Australia sono inconvenienti geografici.
Tuttə noi siamo cresciutə affamatə di domande e siamo adesso fortunati di poter trovare, attraverso le nostre carriere professionali, dei modi per rispondere. Chris e Madhy sono ecologisti, mentre io ho preso la strada dell’antropologia. Le strutture di produzione e consumo di sapere hanno però continuato a infastidisci comunque, anche se giocavamo con successo al gioco dell’accademia, non ne siamo mai statə convintə. Molta della ‹scienza› di oggi fa sembrare ‹naturali› delle supposizioni che in realtà sono culturali (come il Nord posto sopra) e allo stesso tempo separa la ‹cultura› dalla ‹natura› in un modo che ci ha portatə alla distruzione dell’ambiente che ha ora portato il pianeta alla crisi.
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Quando nel 2015 sono emersi a livello globale movimenti studenteschi sulla decolonialità, abbiamo finalmente trovato un linguaggio per pensare a ciò che era sbagliato. Abbiamo scritto un articolo dal titolo Decolonialità e pratiche antioppressive per un’ecologia più etica che rapidamente divenne uno degli articoli più letti di sempre di Nature: siamo in tantissimə a pensare che la scienza possa essere fatta meglio. Nel nostro articolo riconoscevamo le tante sfide della produzione di sapere, ma offrivamo anche 5 azioni concrete da attuare per rendere la scienza migliore. La critica può essere egoriferita se non offre anche un percorso per andare avanti.
Le azioni suggerite sono sia semplici che complicate.
La prima è una richiesta di ‹decolonizzazione della mente›,
che non è un argomento nuovo – centinaia di scrittorə africanə e latinoamericanə ne hanno scritto per decenni. ‹Decolonizzare la mente› prevede l’interrogarsi su come il sapere è connesso al potere (ancora, come il Nord si trovi ‹sopra›).
Poi spingiamo affinché la storia venga considerata essenziale per tutti i lavori scientifici.
Le idee non arrivano nel vuoto, anzi emergono in luoghi particolari grazie alla convergenza di sfide, opportunità e circostanze materiali, un po’ come il Risorgimento italiano.
Il nostro terzo suggerimento riguarda il modo attraverso cui si accede al sapere.
Al momento, paesi e istituzioni ricche e la loro moneta permettono di accedere a informazioni che sono spesso dietro paywall per tutti gli altri.
Queste informazioni sono spesso estratte da posti che non possono poi permettersi di raggiungerla una volta che viene trasformata da ‹dati› in ‹scienza›. Per esempio, pensiamo a uno studio fatto in Angola sulla malaria. Se viene scritto in inglese, bloccato da paywall e conservato in dei server a Roma, non farà di certo molto per la vita di tutti i giorni della popolazione dell’Angola anche se il vettore di quell’informazione potrebbe essere il suo stesso sangue.
Il nostro quarto punto riguarda la questione della competenza. Chi possiamo considerare unə espertə e perché?
Dipende tutto dai titoli di studio o conoscenze particolari? Che ruolo hanno la cura, l’impegno – addirittura l’amore? L’amore è una parola taboo nell’accademia, ma è cruciale per condurre ricerche importanti. Quando ami qualcosa, solitamente diventi un ‹espertə› di quella cosa in un modo che nessun carico di teoria potrà mai insegnare. Stai con questa cosa per tanto, non soltanto per un titolo o una pubblicazione. Abbiamo bisogno di riconoscere anche quella forma di sapere e imparare da essa.
Il lavoro di squadra è l’ultimo punto che abbiamo individuato tenendo a mente i cambiamenti della scienza, e ancora una volta dovrebbe essere qualcosa di ovvio, ma spesso non lo è.
Più le persone in una stanza (sia essa reale o virtuale) sono diverse, più sono le informazioni a cui si può arrivare: leggendo, ma anche dalla vita stessa. La diversità deve andare oltre il genere e il colore della pelle e farsi esperienza di vita.
Abbiamo incorporato l’intuizione del mio insegnante in una delle nostre figure, che mostrava una mappa del mondo invertita e, attraverso i nomi degli uccelli, le tracce della conoscenza coloniale. Quell’immagine colpì fortemente lə lettorə e fece diventare il nostro articolo di dominio pubblico. Lə utenti twitter andarono fuori di sé: avevamo gente sconosciuta da tutto il mondo che ci mandava versioni ‹corrette› della nostra mappa, con il Nord di nuovo ‹sopra› ecc. Lettorə che non avevano mai avuto quella lezione di base durante la scuola elementare.
Questo è il punto. Cose che sembrano ovvie nel ‹Sud Globale› sono lontane dall’essere considerate normali da lettorə cresciutə convintə della propria superiorità. In posti come il Sud Africa e l’India, le persone paragonano costantemente sé stesse con un immaginario ‹primo mondo› dove si crede che le cose funzionino meglio e siano migliori.
Dimentichiamo che ‹primo mondo› significa capitalismo, ‹secondo mondo› comunismo e che ‹terzo mondo› originariamente erano coloro che dovevano ancora decidere su un’ideologia politica e economica.
In posti come il Sud Africa e l’India, le persone si ritrovano si sforzano psicologicamente e intellettualmente per guadagnare l’approvazione di persone nei sistemi di potere che – a un primo esame – sono sistemi localizzati che hanno rivendicato un’influenza globale semplicemente scrivendo le regole. Per essere considerato uno studioso ‹globale›, una persona deve pubblicare in riviste europee e statunitensi. Ma per essere considerati tali studiosi europei e statunitensi non devono pubblicare in Sud Africa o in India – perché no?
Ciò che è diventato chiaro è che i sistemi per come sono adesso non hanno funzionato. Il pianeta è in crisi su più livelli e non abbiamo un pianeta B, ma abbiamo un piano e lə nostrə scienziatə e studiosə devono sedersi al tavolo. Se le ‹persone più brillanti› della nostra società non possono aiutarci granché in questo momento è perché sono paralizzate in sistemi della scienza a cui non importa nulla. Correggerli è una questione di urgenza globale: la scienza deve cambiare.
Traduzione di Martina Neglia