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Love Sex American Express. Una pioggia di pink dollars al gay pride
Il marketing ha capito prima della politica che il mondo GLBT esiste. Ma gay e lesbiche sono visti come consumatori o esseri umani? Come la pubblicità si accaparra le battaglie civili per raggiungere segmenti di mercato.
parole di:
Anni di discoteche in riviera romagnola e qualche festa fighetta romana mi hanno lasciato il titolo della canzone adatta a descrivere il Pride romano di quest’anno, il nono a cui partecipo. Quando ho visto sfilare il grosso carro dell’American Express ho iniziato a canticchiare:
I wanna make your body mine
I wanna hold your body girl
Love Sex American Express
Spiegone del testo for dummies: uno vuole fare “sua” una donna, o meglio il corpo di una donna, grazie alla sua carta di credito.
Il Corteo del Pride 2019 mi è sembrato molto diverso da quello degli altri anni. La cosa più evidente e grave è stata la totale assenza delle istituzioni. Non mi aspettavo di certo Salvini o Fontana e neppure Di Maio o Conte, ma ammetto che mi ero fatta una infinitesimale aspettativa per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità, Spadafora, omosessuale dichiarato. Insomma Pari Opportunità solo per disabili e mamme con figli, e neppure tutte le mamme.
Questa assenza è gravissima, perché le istituzioni dovrebbero essere garanzia di democrazia e del rispetto dei principi costituzionali per il riconoscimento e la tutela delle minoranze. Gli anni passati, a supporto della causa c’erano i Vigili del Fuoco e l’Acea. Ora, assenti. Riconfermata la presenza della Procter&Gamble e di Vitasnella, a cui si sono aggiunti Netfix, MTVpride, Akuel, Treedom, Vueling, Accenture, Pen & Jerry’s (gelati commercializzati tramite le app Domino’s, Deliveroo e Just Eat), ConTe.it assicurazioni, e la nostra cara American Express.
Hanno sfilato anche Smart paillettate e un grande carro della Mercedes a sostegno della comunità GLBT, gli immancabili Canada e Germania, ai quali ci ispiriamo per il reddito di cittadinanza ma non per l’approccio inclusivo. Grande novità di quest’anno è stata la presenza delle banche e della Banca d’Italia.
La buona notizia è che il marketing delle multinazionali sembra sia più pronto a intercettare i bisogni della comunità GLBT. La cattiva è che questi bisogni non vengono minimamente considerati dai partiti e dalla maggior parte delle aziende, delle banche e degli enti italiani.
La sensazione che ho mentre i carri scorrono è che la comunità GLBT abbia un peso solo di tipo economico e le istituzioni siano state sostituite dalle imprese, o meglio dal capitalismo in senso più ampio.
Mi viene in mente una voce forte, quella di Porpora Marcasciano, che si è presa la responsabilità di fondere i diritti civili con quelli sociali e lo ha fatto in modo inclusivo, a favore dell’unico punto che deve interessarci tutti e tutte: la dignità dell’essere umano.
Lo ha fatto con coraggio, non lasciando in sospeso nessuna questione, compreso quelle più spinose e scomode, durante il suo discorso al Roma Pride 2019:
Ricordiamo che si è tanto più forti quanto più si è coscienti e conoscenti della propria storia, e metterla a valore non può che darci forza. Ci sono pride oggi le cui priorità restano i carri, il servizio d’ordine, gli sponsor e i patrocini (chiesti anche a istituzioni fasciste) a scapito del nostro orgoglio. Negli anni siamo stati asserviti ai partiti e non abbiamo fatto sì che fossero loro al nostro servizio. Tornare a essere soggetti politici militanti attenti, severi, intelligenti, non furbi, resta a mio avviso una condizione necessaria per avanzare e, aggiungo, avanzare con le proprie differenze in un percorso di orgoglio comune. Uscire dalle logiche di potere, dagli orticelli d’interesse per ricostruire quel senso di liberazione che ci ha sempre caratterizzate/i. La coscienza di sé, la grande responsabilità che abbiamo, potrà farci superare l’empasse in cui siamo stati costretti e potrà aprire nuovi favolosi orizzonti.
A questo punto le riflessioni da fare sono sul marketing sociale, sulla responsabilità sociale d’impresa e sulla situazione del marketing contemporaneo.
La comprensione di questi punti può essere essenziale per immaginare scenari futuri di rappresentanza, potere d’acquisto e l’eventuale perdita della dimensione sociale degli individui a favore esclusivo di quella che li vede solo come meri consumatori.
Che cos’è il marketing GLBT?
Negli Stati Uniti la scoperta del mercato gay ormai risale a molti anni fa. In Europa e Australia il fenomeno è più recente. In Italia nasce in maniera consapevole solo con il riconoscimento delle unioni civili. Si aprì infatti un mercato di wedding planner e di agenzie di viaggio gay-friendly, così tutta una serie di aziende iniziò a rendersi conto che la comunità GLBT non era solo l’anima di un movimento centrato su istanze di inclusione, ma che era un fecondo oggetto di interessi che non andavano sottovalutati.
Il mercato gay è quell’insieme di scambi commerciali che si fonda sulla targettizzazione di consumatori gay, lesbiche, bisessuali o transessuali, i quali diventano oggetto di campagne di marketing perché percepiti come interessati a determinati prodotti o servizi, o perché studiati come anticipatori di tendenze (trendsetter).
Questo target comprende una vasta e influente parte della popolazione di quei paesi in cui l’omosessualità è vissuta liberamente, senza forti condizionamenti sociali negativi e senza restrizioni di natura legale. Negli Stati Uniti si stima che il mercato gay riguardi tra il 4 e il 10% della popolazione, cioè tra i 12 e i 23 milioni di consumatori, per un fatturato di circa 660 miliardi di dollari.
I settori più attraenti per il mercato gay sono il turismo, i servizi finanziari, le bevande alcoliche, le autovetture, i prodotti di bellezza per viso e capelli, i prodotti di lusso, quelli farmaceutici e la moda.
Non a caso nei primi anni novanta si parlava di pink dollar
cioè del potere d’acquisto della comunità GLBT che si riferisce a chi spende in turismo, locali notturni, ristoranti e altri servizi.
L’interesse delle aziende che investono in marketing GLBT è quello di escludere la possibilità che le coppie di omosessuali, maschi o femmine che siano, abbiano figli.
Vengono infatti inclusi nell’insieme del target del pink dollar, i DINK (double income no kids: doppio stipendio e niente figli), e sono assimilati a chi fa la scelta di non fare figli per massimizzare il benessere economico. In realtà sappiamo bene che ci sono coppie di omosessuali che lottano per il riconoscimento dei loro figli da parte dello Stato. La questione è liquidata dal marketing, che però nel caso dei figli delle coppie eterosessuali si cura di creare stereotipi e pregiudizi: nell’offerta di prodotti per bambini c’è un’infinità di tutine rosa o azzurre e una crescente diminuzione del giallino o del bianco, che era usato in un recente passato per tutti i bambini, in quanto candeggiabile e quindi più igienico.
Procter&Gamble ha questo slogan:
Noi vediamo tutti allo stesso modo. Mi viene da pensare: come consumatori o come esseri umani?
Sta di fatto che nell’intervista che hanno rilasciato in occasione del Roma Pride 2019, gli argomenti trattati sono stati lo smartworking e la conciliazione della vita privata con quella lavorativa, senza parola alcuna per i genitori delle famiglie arcobaleno, senza alcuna contestazione alla cancellazione di “genitore uno” e “genitore due” da parte di Salvini.
Insomma i bambini arcobaleno non sono minimamente considerati né come una fetta di mercato, né come soggettività e individui per lo Stato, se non grazie all’encomiabile lavoro di alcuni giudici che stanno con fatica colmando una voragine legislativa.
A questo punto la domanda è questa: può il marketing fare qualcosa per modificare le ingiustizie?
Le strategie attualmente presenti sono il marketing sociale e il pinkwashing.
Philip Kotler definiva il marketing sociale come l’utilizzo delle strategie e delle tecniche del marketing per influenzare un gruppo a accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, al fine di ottenere un vantaggio per i singoli individui o per la società nel suo complesso.
Tale approccio in Italia ha utilizzato solo le logiche profit e non quelle no profit, vedi il caso di San Patrignano che, dopo Muccioli, con l’acquisto della struttura per la disintossicazione da sostanze stupefacenti da parte della famiglia Moratti, ha affidato alla Bocconi la sua strategia e ora produce pelletteria e prodotti enogastronomici per la casa utilizzando come forza lavoro i ragazzi che si affidano a questa comunità.
Tale metodologia in Italia è stata utilizzata solo per la prevenzione di alcune malattie intervenendo su quelle barriere di tipo ambientale, socio-economico e personale che rendono più difficile mettere in atto sani stili di vita.
Da qui sembrano prendere spunto le aziende e le banche che hanno partecipato allo scorso Pride, perdendo di vista un aspetto importante. L’omosessuale non vuole essere riconosciuto in quanto malato ma come individuo. Il marketing sociale, insomma, è lacunoso.
L’azienda Akuel che produce preservativi ha centrato perfettamente il tema in quanto, storicamente la Comunità GLBT, dagli anni ’80 si è occupata della prevenzione dell’HIV e lo ha fatto per tutti.
Chissà se un giorno vorrà sviluppare dei programmi nelle scuole di educazione sessuale e sentimentale al momento non finanziati dalle istituzioni per mancanza di soldi o per motivi meramente ideologici.
Sempre dall’uso del concetto di salute nasce la strategia del pinkwashing. Il termine è una crasi tra “pink” e “washing” cioè coprire di rosa. La parola è stata usata per la prima volta da un’associazione per la lotta del cancro al seno per identificare le aziende che fingevano di sostenere le persone malate di cancro al seno, guadagnando dalla loro malattia. Tale strategia viene applicata prevalentemente in tre contesti e cioè quello femminista, quello GLBT e quello cosiddetto green che abbraccia le questioni ecologiste.
Il concept mi sembra già partito male ma non tutto il male viene per nuocere. È una strategia che ha funzionato bene in casi come Netflix, che con le sue serie ha contribuito all’accettazione della propria omosessualità di molti adolescenti.
Ma il caso del sostegno della Pen & Jerry’s alla parata del Pride mi lascia perplessa, molto perplessa. Perché? Per quale motivo non scende a marciare per i rider di Deliveroo o di Just it di cui si beneficia per il trasporto dei gelati da loro prodotti? Mi lascia molto perplessa anche la partecipazione delle banche che impongono tassi di interesse dei mutui (quando li concedono) che sono di fatto insostenibili.
Queste realtà sembrano rifarsi allo stereotipo dell’omosessuale maschio con le seguenti caratteristiche :
- non avere o avere raramente dei figli;
- titoli di studio più elevati della media;
- professioni e ambiti culturali dinamici (creativi, designer, intellettuali);
- un maggiore reddito disponibile o comunque una maggior disponibilità di spesa
Sono quindi escluse le lesbiche, i/le bisessuali, gli omosessuali poveri e quelli immigrati o in asilo politico.
Per non parlare delle condizioni economiche delle persone transessuali alle quali certi lavori sono preclusi o a quanti ostacoli incontrano sia nel mondo del lavoro che nella vita di tutti i giorni. Penso all’accesso all’affitto delle case o l’ottenimento di un mutuo o di un prestito. Alle persone transessuali il marketing non è interessato, essendo una quota demograficamente minimale e dunque priva di margine di profitto.
Il marketing, le aziende che lo applicano, i loro prodotti pieni di paillettes, insomma, non ci salveranno.
Love Sex (without) American Express.
Playlist
Love sex american express – Cristian Marchi
Il sesso vende sempre – Immanuel Casto
Alphabet of love – Immanuel Casto
We want you soul – Adam Freeland
We exist – Arcade Fire
Innuendo – Queen
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