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Che cosa significa nascere in provincia? Episodio online di SUD, menelique magazine #8

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Provinciale. 1. spreg. Mentalità, modo di fare, atteggiamento considerati tipici di chi vive o è vissuto in provincia, quindi caratterizzati da limitatezza culturale, meschinità di gusto e di giudizio. (Treccani)

SCENA UNO. Un bar, di fronte un parco comunale dove sopravvive soltanto una manciata di pini, un punto minuscolo nella densa provincia di Napoli. Abbiamo meno di vent’anni, sorseggiamo una Peroni grande, fumiamo canne di infimo hashish e tabacco. È scattata una rissa tra due ragazzi, lo capiamo dai moti di rotazione e rivoluzione della folla intorno a un centro che ancora non si distingue. La voce si è già sparsa, arriva la risposta istantanea delle due fazioni, come dopo un richiamo inaudibile di insetti. Un brusio lontano di scooter diventa un ruggito, un paio di file disordinate zigzagano nel traffico di automobili, mantenendosi tuttavia compatte, e dalla nostra sinistra si dirigono verso lo stesso punto, verso destra, all’uscita del parco. Alcuni parcheggiano e salgono sulle macchine in sosta. Dai tettucci delle auto o dagli scooter in movimento, in tre o quattro fanno roteare le catene dei motorini in stile lazo. Urlano e minacciano la fazione opposta, intanto la gente cambia strada, le auto aprono un varco per lasciarli passare. Noi muti e immobili, tra l’allerta e l’apatia.

 

Illustrazione di Carol Rollo

SCENA DUE. Un localino in un sottoscala del parco comunale. Un concerto di un gruppo, zoccolo duro della scena post rock degli anni Dieci, ma noi non lo sappiamo. Attraversiamo i giardinetti del parco, un ammasso di terra che lascia nuvole di polvere dietro i nostri passi, in branco, verso l’entrata del sottoscala. Ci sentiamo in diritto di essere molesti, di prendere in giro gli organizzatori al banchetto, tra i pochi eroici a organizzare qualcosa nei dintorni, pretendiamo di entrare senza pagare. Qualcosa ci fa credere di avere una sorta di diritto territoriale in quella zona dove noi buttiamo le serate, per quel sentimento che non è facile spiegare, tra l’arroganza e il niente da perdere. Quello spazio liminale, una delle poche cose di cui abbiamo enorme esperienza.

SCENA TRE. Galassia Gutenberg, una famosa fiera di libri vicino Napoli. Non sappiamo esattamente quali sono i libri che dobbiamo leggere, ma li sappiamo rubare. Al liceo i professori di italiano della nostra sezione cambiano ogni sei mesi, a volte resistono per un anno. Non siamo orribili noi, ma la scuola ha dei problemi grossi di organizzazione. Qualcuno di loro ha detto a un paio di noi che siamo bravi, ma dovremmo leggere di più. Ci mancano le basi. A me dicono sempre: hai potenziale, ma fai troppe assenze (Ho rischiato la bocciatura per due anni di seguito, ma l’idea di questa bravura, mai davvero soddisfatta, mi ha salvata). Il mio amico distrae i gestori dei banchetti, mentre io infilo un libro nelle borse di tela, a volte due. Mi dice prendi quelli più grandi, mi raccomando, e io obbedisco. All’uscita li contiamo, almeno una ventina. Chissà se basteranno.

Provincialismo.

In senso più ampio, con riferimento a manifestazioni letterarie, artistiche, culturali, intellettuali, ristrettezza di interessi dovuta a scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati e di respiro più universale: Papini era allora, com’ero anch’io, … un uomo che aspirava ad uscire dai limiti del p. culturale e spirituale per spaziare in un’aura più aperta di universalità (Soffici); l’accusavano di meschinità, di aridità, di p. (Bassani). 

 

Illustrazione di Davide Bart. Salvemini

La nostra città all’inizio degli anni Duemila conta più di novantamila abitanti e non ha una biblioteca. Alcuni hanno fratelli o sorelle maggiori o genitori che hanno accumulato volumi negli scaffali, e quando invitano a casa chi di noi non ha gli stessi panorami domestici, la cosa intimidisce, ma, diciamocelo, abbiamo imparato a nasconderlo molto bene. Se riusciamo a superare l’imbarazzo, ci facciamo un’idea di quali sono i libri, i film, i cd da avere, da desiderare di avere. Capiremo dopo anni, a volte dopo qualche stagione di lavoro al nord, che anche quelli con le case piene di libri, tutto sommato, hanno qualcosa che non va: rimangono provinciali del Sud. Una roba appiccicosa che ti rimane addosso.

Verso i ventitré anni, mi sono trasferita a Roma, poi ho continuato a spostarmi in altre città, prendendo il posto nelle statistiche delle numerose persone che passano da Sud/nord a Sud/nord/estero. Ho capito così quello che significavano le aspettative, conoscendo persone di classe media, magari del nord Italia. La famiglia, la società si aspettavano qualcosa da loro. Un genere di pressione, un condizionamento che non avevo mai provato e non arrivavo a comprendere.

Le aspettative alcuni di noi se le erano cercate, hanno capito cos’erano e se le sono costruite da zero, pezzo a pezzo imitando il riflesso di quelle su altre persone, su altre geografie. Facendo qualche passo da soli, non sempre avanti, a volte anche indietro. Siamo partiti dalle basi (Ci si poteva aspettare uno stipendio vero? Di firmare un contratto di lavoro prima di iniziarlo? Ci si poteva aspettare l’indipendenza? Potevi pensare di scrivere, fare arte, fare musica anche da un territorio fagocitato dalla disoccupazione?).

L’aridità dei paesaggi (il fare a meno, abituarsi a quello che non c’è) non ti lascia facilmente. Non è una questione di distanza, ma di accesso. Nel tempo ho capito che, anche se mi trasferivo altrove, anche se mi trovavo in un paesaggio più florido, non era detto che quella floridità fosse destinata alla gente come me. In un modo o nell’altro, dai margini mi avvicinavo ai centri, che voleva dire prendere parola, osare sognare, partecipare alla costruzione di qualcosa di gratificante.

Inizialmente la curiosità mia e quella degli altri faceva tutto il lavoro, poi avveniva un processo inverso, per insufficienza di risorse materiali e per un senso di inadeguatezza più o meno indotto, perché scadeva il tempo che mi era dato per giocarmi l’occasione, sottoposta a un’idea di merito di cui non riuscivo a comprendere i criteri. E dopo un po’, senza nemmeno accorgermene, mi ritrovavo sistematicamente ai margini, dove l’accoglienza era incondizionata, o almeno dove gli spigoli e le dissonanze che mi erano riservate erano quelli di sempre, conosciuti, più familiari.

Provinciale. Dovrebbe significare soltanto una posizione nella geografia. Ma sembra che l’essere provinciale sia una condizione scelta. La ristrettezza di interessi una scelta consapevole, gli scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati frutto di un’incapacità innata di stare al passo. Ma il passo lo decide qualcun altro e tu puoi solo sperare che nel frattempo non ti sei autosabotata troppo per capirlo.