Sottosopra / 4 min

Mappe e confini

Perché il nord deve essere in alto e il sud in basso? Non potrebbe essere il contrario, sottosopra? Le mappe sono un modo per veicolare un senso di identità e di possesso, costruire valori, gerarchie, prospettive da cui guardare la nostra presenza nel mondo.

Mappe e confini

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Questa è la prima volta che “vedo” un confine. Sono a Gorizia, la città che dopo la sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale e il trattato di Parigi venne divisa in due, una parte italiana, Gorizia appunto, e una slovena, Nova Gorica. Piazzale della Transalpina è il punto dove passa la linea di confine, una linea che fino a qualche anno fa era segnata dal filo spinato e che ora, in seguito all’entrata della Slovenia nello spazio Schengen, è completamente libera.

Una targa sul lastricato della piazza segna il passaggio tra uno stato e l’altro, e come tanti altri turisti faccio la foto di rito mentre passo il confine. Mi diverte fare questo salto da una parte all’altra, ma poi mi blocco e penso che un confine in fondo non è altro che una linea immaginaria e arbitraria.

Perché qui e non dieci centimetri più in là?

Un confine che qui ha vagato per secoli, come in tante altre parti del mondo. Prima un po’ più in là, poi un po’ più in qua. Un confine delimita, racchiude e esclude. Come una sorta di recinto, serve allo stato per definire se stesso in rapporto agli altri, ciò che è e ciò che gli appartiene contro tutto il resto. Così anche le mappe e le carte sono una rappresentazione di noi stessi, una fotografia di quello che uno stato è, una sorta di censimento di ciò che fa parte di quello stato. Nella Bibbia si racconta che Davide, il re biblico d’Israele, istigato da Satana decise di fare un censimento per conoscere il numero della sua popolazione (2 Sam 24, 1-25). Non che fosse proibito fare un censimento, ma questa era un’attività riservata a Dio, l’unico che poteva conoscere il numero del suo popolo. Censire è come mappare, è un’attività conoscitiva, di presa di consapevolezza di ciò che si è, di quello che siamo noi e di quello che sono gli altri.

Mappe e confini sono modi per appropriarsi del mondo esterno, per questo sono stati strumenti largamente usati dai colonizzatori.

È ad esempio quello che sostiene anche Benedict Anderson in Comunità immaginate. La mappa è un modo per aiutare l’immaginazione, per sviluppare il senso di comunità e di nazione, di appartenenza a un gruppo sociale. In molti paesi nemmeno esisteva il concetto di mappa, sono stati gli europei a portarlo. Come in Siam, dove le uniche carte presenti erano delle specie di quadretti disegnati dal punto di vista dell’osservatore, con delle note a margine esplicative, in modo che uno sapesse come orientarsi.

Mappare il proprio territorio è conoscere se stessi, così come possedere delle mappe di altri territori è conoscere gli altri, è avere la possibilità di prenderne le misure, e quindi dominarli. Molti palazzi e regge hanno infatti una sala o una galleria piena di mappe. Come nei film in costume, non è difficile immaginare come sovrani e generali intenti a pianificare una guerra guardino quei disegni. Mappe che ci stupiscono qualche volta, perché gli stati e le regioni sono spesso capovolti, disegnati al contrario, visto che sono catturati dal proprio punto di vista, come se ciascuno fosse il centro del proprio mondo.

Anche oggi che la mappa come proiezione dall’alto è diventata qualcosa di “oggettivo” con le tecnologie satellitari, permane un senso di arbitrarietà, di variabilità. Perché il nord deve essere in alto e il sud in basso? Non potrebbe essere il contrario, sottosopra? Forse perché ciò che è in alto è più importante di ciò che è in basso? O perché non utilizzare altre proiezioni? Sappiamo che la Terra non è perfettamente sferica (ma un geoide), ma i mappamondi continuano a esserlo. Perché?

Le mappe sono un modo che utilizziamo per veicolare un senso di identità e di possesso.

Sono uno dei modi che abbiamo per costruire un senso di nazione, di inclusione e esclusione. Sono un modo di propagare valori, gerarchie, prospettive da cui guardare la nostra presenza nel mondo. Sono uno dei modi con cui l’uomo ha rivendicato il dominio sulla Terra, e con cui alcuni gruppi umani hanno dominato altri. La consapevolezza che anche attraverso le mappe passa il colonialismo, antico e moderno, interno o esterno, ci deve spingere a guardare a questo strumento con uno sguardo critico, che sia capace di riconoscere i limiti e i vizi di una mentalità che vede ciò che sta fuori di noi come un pericolo, qualcuno o qualcuna senza diritti e senza dignità, da mappare, circoscrivere, differenziare, allontanare e, nel migliore dei casi, tollerare. Perché abbiamo così paura di farlo davvero, quel salto da un confine all’altro?