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C’È VITA IN EUROPA?

L’Europa che vorremmo e di cui non si è parlato nella campagna elettorale

C’È VITA IN EUROPA?

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Possiamo tirare un sospiro di sollievo: finalmente le elezioni sono passate, e anche il day-after. Tiriamo un sospiro di sollievo non per come siano andate, ma perché speriamo che si plachi ora quest’ansia elettorale, questo clima da continua rincorsa a chi la sparava più grossa, a chi aveva la voce più alta e a quali e quanti santi appellarsi.

Erano elezioni europee ma di Europa si è parlato pochissimo, in Italia almeno. Ma anche all’estero la situazione non è stata diversa. L’unico paese in cui si è davvero discusso di Europa è quello che si appresta a abbandonarla. Ora che anche il giorno dopo le elezioni con i suoi commenti a caldo è passato, prendiamoci una pausa per fare una riflessione su questa campagna e sul futuro del continente.

Nessuno si aspettava niente di diverso, ma comunque avere la certezza che le cose in Italia e in Europa stanno così è sconvolgente. Possiamo affermarlo chiaramente: l’Europa è un continente di destra

Meglio, l’Europa è un continente che ha fondato se stesso su miti identitari, su sopraffazioni coloniali, su costruzioni demonizzanti le altre culture e gruppi sociali. A poco serve continuare a lavorare sulle rappresentazioni e provare a ridimensionare il successo delle destre, insistendo sul fatto che l’astensione sia il partito maggiore. A poco serve riporre tutta la propria fiducia nei verdi, visto che l’ambientalismo è fondamentale, sì, ma ha favorito negli ultimi anni una massiccia forma di entrismo di liberal desiderosi di brandizzare lotte politiche. Così come a poco serve chiedersi da dove deve ripartire la ricostruzione della sinistra. Bisogna avviare un processo più radicale, come se fossimo su un pianeta diverso.

Dobbiamo avviare una terraformazione di questo continente

a partire da noi stessi, bisogna agire quotidianamente nelle vite di ognuna e ognuno, portare orizzontalità e uguaglianza sui posti di lavoro, portare conflitto dove c’è gerarchia e disuguaglianza, scoprire gli spazi di condivisione delle lotte politiche, che sono immensi e che occupano ogni istante della nostra esistenza, per rendere questo continente vivibile anche per altre forme di vita oltre al maschio bianco europeo. Partire da sé, dai luoghi del quotidiano, ma con lo scopo di agire collettivamente. È più che mai urgente che anche la sinistra europea e l’Europa mettano in atto una metamorfosi. La sinistra partitica non deve dare la colpa agli elettori e ai cittadini che non hanno capito quanto bravi siano, o quanto bella e buona è l’Unione. Non è solo una questione di comunicazione, è una questione di contenuti.

In Europa la destra esiste, è forte e si sta organizzando per diventarlo sempre di più. Una destra che va dai movimenti neo-fascisti sino ai popolari e i liberal-democratici. In Italia ha vinto Salvini, puntando tutto sulla paura dei migranti. Orbán in Ungheria sul Muro. In Francia i voti se li sono spartiti Macron e Le Pen, che sebbene su schieramenti opposti, non si sono contraddistinti in quanto a accoglienza, diritti dei lavoratori e delle minoranze. In Polonia la destra tradizionalista e ultracattolica ha raggiunto ancora la maggioranza, puntando anche lì sui temi della difesa della famiglia tradizionale. La sinistra vince solo in Spagna e Portogallo, a Malta, in Svezia e in Olanda. Anche in questi casi si tratta più volte di “sinistre” che hanno rincorso la destra sui suoi temi, strategia che ben conosciamo anche in Italia. Muscat, il premier maltese, si è anche lui contraddistinto per la sua politica dei porti chiusi, e Malta rimane una sorta di paradiso fiscale per multinazionali che vogliono pagare meno tasse. I socialdemocratici svedesi rincorrono da anni ormai la destra dei Democratici Svedesi, che non sono proprio come il nome li vorrebbe dipinti.

La sinistra viene sconfitta, mentre la destra continua a avanzare. Anzi, avanza l’estrema destra. Il Partito Popolare Europeo perde voti, e se la procedura di infrazione nei confronti di Orbán si concluderà con la sua espulsione del gruppo, si troverà ancora più risicato, consegnando finalmente il primo ministro magiaro al gruppo a cui appartiene veramente. Per anni la destra ha cercato legittimità politica, ha prodotto teorie e cultura, che hanno trovato il terreno fertile in un continente diviso, impaurito e che in molti casi non ha mai davvero fatto i conti con il proprio passato colonialista, schiavista, fascista, violento e guerrafondaio. Le destre hanno venduto l’illusione di una nuova grandezza nazionale, la promessa della sicurezza. Hanno rassicurato masse di disperati, sconfitti dalla globalizzazione, che tutto poteva tornare al suo posto, che c’era un nemico a cui dare la colpa delle loro disgrazie. Come un tarlo, il neofascismo si è fatto strada nelle menti delle persone, è diventato un modo di pensare, scontato, abituale. Sono i migranti che ci portano via il lavoro. Gli africani sono essenzialmente diversi, devono essere aiutati a casa loro, nel territorio che il destino gli ha assegnato. Poco importa se quel territorio è stato e continua a essere depredato dal colonialismo occidentale e cinese. Poco importa se il cambiamento climatico causato dalle industrie dell’occidente ha colpito per primi quei territori. Non era il loro destino quello di essere grandi. Il destino dell’Europa, secondo le nuove destre, è tornare agli stati nazionali, ognuno con la propria grandezza e il proprio Fato da adempiere.

Perché questa breccia nella società? Jonathan Haidt, noto psicologo sociale statunitense, in un suo libro sulle origini evoluzionistiche della moralità e della politica The Righteous Mind (2012, tradotto in italiano con Menti tribali), spiega perché la destra faccia costantemente più presa della sinistra. In effetti è un mistero. Perché gli strati più poveri della popolazione dovrebbero votare a destra? Perché a Riace e Lampedusa la Lega dovrebbe prendere tutti quei voti?

Perché un’operaia, cassaintegrata, con famiglia a carico, e con un’azienda che chiude per aprire in Turchia, dovrebbe votare Lega e non un partito di sinistra?

Haidt spiega che ci sono almeno sei valori istintivi e intuitivi che compongono la nostra moralità: la cura, la giustizia, la lealtà, l’autorità e la religiosità. La sinistra punta solo su due di questi: cura e giustizia, mentre la destra li richiama più o meno tutti quanti. Ecco perché, secondo Haidt, il pensiero di destra è più rassicurante, specialmente nei periodi di crisi e difficoltà, perché fa presa su tutto il nostro sistema di valori intuitivo, lo troviamo più rincuorante e familiare. Si potrebbe allora affermare che la destre è istintuale, si aggrappa alle intuizioni radicate dentro il nostro essere animali umani. La tentazione è quella di ritornare alla tribù, chiusa dentro sé stessa, alla comunità barricata nei suoi confini, che si consola delle proprie tradizioni e che guarda distaccata all’incendio fuori dalle sue mura, ignara che presto brucerà anche lei.

Chi ha votato a destra non è un troglodita

Sia chiaro. Questo sarebbe ricadere nel solito cliché che chi vota a destra non può o non sa pensare. La destra pensa eccome, ha ideato una strategia, solleticando proprio le corde che facevano più presa. Istillando la paura, chiedendo spazi di libertà in cambio di sicurezza, di rassicurazione.

La gente ha paura. Si sente traballante nelle poche certezze che le sono rimaste: va verso chi gliele promette. Verso chi promette di ritornare al bel mondo antico, il tempo di Saturno, al si stava meglio quando si stava peggio. Salvini, Le Pen, Orbán, e gli altri sono gli uomini e le donne forti che danno l’illusione di contare ancora qualcosa al popolo che li rappresenta. Promettono la restaurazione delle radici cristiane dell’Europa, contro l’invasore islamico (peccato che in Europa gli islamici ci siano già da secoli, e che il cristianesimo sia una religione straniera tanto quanto ogni altra). Gli islamici vogliono cambiare la nostra cultura, stravolgere il nostro ordine, sovvertire le nostre tradizioni. Il crocifisso in aula c’è sempre stato (con buona pace della laicità dello stato). E dunque affidiamoci al cuore immacolato di Maria. I matrimoni gay, la gestazione per altri, l’eutanasia, l’aborto, la libertà delle donne… dove ci vogliono portare? Pazienza se questi diritti non tolgono niente a nessuno. Stravolgono la quotidianità, e in un mondo che ha bisogno di certezze questo è un male. La guerra degli ultimi contro gli ultimi.

La destra ci bombarda con i messaggi che le risorse sono scarse. Di lavoro ce n’è poco, di soldi da spendere altrettanti, i banchieri e la finanza sionista tengono i cordoni della borsa per affamarci, lo spazio non è infinito, non possiamo permetterci di farli venire tutti quassù in Europa. Poi addita il nemico: il migrante, l’Unione Europea, gli speculatori: tutto ciò che sta fuori. Il combinato disposto di queste due premesse, le risorse sono poche (quindi bisogna che ti difendi) e individuare chi cerca di portartele via (il migrante disposto a lavorare per pochi spiccioli), fanno tutto il resto. La destra avanza. Ti prego Salvini liberaci dal male. E in cambio prendi quello che vuoi.

Bisogna comprendere perché la gente ha paura. Bisogna dire che tipo di Europa vogliamo.

Non è vero che le risorse sono scarse, le risorse sono mal distribuite.

Se perdi il lavoro, non è perché qualcuno è disposto a lavorare per un salario più basso e con meno diritti, ma perché ci sono regole che permettono lo sfruttamento. La sinistra deve ricostruire la sua nuova identità. E lo deve fare puntando sull’uguaglianza: che è sia uguaglianza formale che sostanziale. Formale, perché tutte e tutti siamo uguali davanti alla legge e abbiamo gli stessi diritti. Ecco perché la sinistra deve essere femminista. Ecco perché la sinistra deve guardare a tutte le minoranze e agli esclusi. Nessuno e nessuna può essere cittadina e cittadino di serie B. Ecco perché la sinistra deve difendere il pianeta che è la casa di tutti e tutte. Uguaglianza sostanziale, che significa redistribuzione, riuscire almeno a fornire a tutti e tutte gli strumenti per poter avere una vita buona. Disinnescare la diffidenza per chi arriva da fuori e viene percepito come un ladro.

Non abbiamo bisogno di campagne elettorali dove il tema di discussione è la quotidianità senza un orizzonte di futuro. Non abbiamo bisogno di solleticare le peggiori emozioni delle persone. Abbiamo bisogno di ricostruire il nostro orizzonte di futuro. Decidere cosa vogliamo. Noi lo abbiamo detto cosa vogliamo nel numero zero del magazine menelique. Voi cosa volete?