Editoriale #4: DESIGN
Il buon design, così elitista, elegante, concettuale, nell’Italia di oggi è un cattivo design perché incapace di affrontare le sfide dell’inclusività.
parole di:
immagini di:
☝️Dai un’occhiata alle prime pagine
👉Sfoglia il sommario con tutti gli articoli
👇Leggi l’editoriale
Design, menelique magazine #4, inverno 2020/2021.
Il ‹buon design› è cattivo design. Oggi è considerato buon design quello che rispetta principi formali rigidi, semplici e asciutti, facilmente identificabili e riproducibili, che guardano con rispetto alla tradizione occidentale e che permettono di distinguersi da ciò che è considerato, per un motivo o per un altro, inferiore, dozzinale, volgare. In sostanza si è scelto di fare un passo indietro, riprendendo una ammirazione mai sopita per la purezza del design modernista. Nella grafica: le linee rette, il bianco e il nero, la composizione bilanciata, l’astrazione, la specularità, la semplificazione. Questo buon design, così elitista, così elegante, così concettuale, nell’Italia di oggi è un cattivo design perché incapace di affrontare le sfide dell’inclusività alle quali sono chiamate industrial designer e graphic designer, architetti, programmatrici, data scientist e data analyst, sviluppatrici di videogiochi, fashion designer, artisti musicali, visivi e performativi, così come chiunque abbia a che fare con le discipline creative e progettuali…
👉 Diventa complice di menelique, è uscito il nuovo numero, ‹DESIGN›.
Questa classe di intellettuali, alla quale ci rivolgiamo con questo numero 4 di menelique, e che in passato è stata definita ‹cognitariato› (non senza una nota di disprezzo), è oggi chiamata a rispondere ai cambiamenti sociali che stanno investendo il Paese in questi ultimi anni e che si intensificheranno nei prossimi decenni: la loro sfida sarà quella di progettare l’inclusività, non l’elitismo. La complessità, non la semplicità. L’ibridazione, la pluralità del colore, la vanità, il superfluo, il cosmetico anziché il puro e l’essenziale.
Come la figura umana che nella copertina di questo #4 deforma la griglia di impaginazione editoriale e mischia rabbiosamente i colori, rompendo la binarietà bianco/nero, così in queste pagine proveremo a criticare quel cattivo ‹buon design› e le disuguaglianze nascoste nelle pratiche creative e progettuali contemporanee.
Lo facciamo iniziando da una serie di articoli brevi aperta da Iyo Bisseck, artista e interaction designer esperta di intelligenza artificiale. Gli algoritmi di rilevazione facciale non riconoscono il volto di Iyo, perché lei è nera. Bisseck ritiene che il razzismo e il sessismo nascosto nelle tecnologie possano essere superati tramite una maggiore trasparenza nei processi di programmazione delle IA e una maggiore inclusività nei set di dati con i quali vengono ‹allenati› gli algoritmi. Gli esperti di informatica possono e devono Hackerare l’algoritmo per farsi carico di questa battaglia di liberazione e uguaglianza.
In Data Science Co-op, Susan Calvin denuncia lo sfruttamento del lavoro e l’assenza di una organizzazione sindacale nel mondo dell’analisi dati. Forse, per le data scientist e gli analisti di dati, oltre al percorso accademico e a quello aziendale, esiste una terza via: la cooperazione.
Sofia Torre e Viola Stancati invece si occupano di fashion design, rispettivamente in BDSM ≠ Fashion Design e in Rigenerare la moda. Sofia ci accompagna in un party BDSM per spiegarci come la pelle nera, il metallo e il latex esprimano la natura liberatoria della moda, nonostante l’appropriazione di questi universi underground da parte del fashion design e la conseguente mortificazione della loro carica sovversiva. Viola decide di puntare sul nuovo trend nella moda: la rigenerazione. Per affrontare la sfida ambientale, l’industria tessile non deve solo evitare l’uso di sostanze chimiche e pesticidi, ma deve alimentare il suolo tramite una maggiore biodiversità; mentre per superare il neoschiavismo al quale sono costrette troppe persone che lavorano in questo settore è necessario abbandonare i principi di accumulo capitalista che guidano i grandi brand della moda.
Nel mentre, Karim Sultan ci invia le sue Note dall’Iraq, descrivendo la sua pratica di produzione musicale e riflettendo su come musiciste e artisti possono intraprendere un percorso di ricerca per decolonizzare la propria arte. Karim ci guida in un viaggio nel suo Iraq e nell’Egitto del passato e del presente, tra musica elettronica, arti visive e performative.
La serie di approfondimenti più corposi è aperta dal designer Mugendi K. M’Rithaa: il design partecipativo può prendere le mosse dai sistemi di conoscenza indigena e dal concetto afrikano di Ubuntu: un’aura di empatia, partecipazione e inclusività che valorizza idee comunitariste.
Forse, però, questo appello di Mugendi per l’espansione delle pratiche e delle finalità del design può trasformare la progettazione da materia tecnica in qualcosa di sempre più vicino all’arte, diluendo la sua essenza. Per Silvio Lorusso, questo Design diluito perde la sua identità e lo porta a smarrire il suo ruolo specifico.
Di Architettura radicale parla Ross K. Elfline. Dagli Stati Uniti, Ross ci ricorda che proprio qui in Italia, e nello specifico a Firenze, negli anni 60 alcuni movimenti reclamano una nuova concezione del lavoro e sviluppano pratiche architettoniche libere da ingerenze di clienti e imprenditori.
Nella sezione Sguardo Internazionale di questo numero abbiamo accolto contributi dalla piattaforma femminista Depatriarchise Design (A for Anything, di Benedetta Crippa) e dal libro Entreprecariat (Silvio Lorusso).
Silvio riflette sull’estetica contemporanea della produttività che subiamo tutti e tutte. Grafici, statistiche, todo list, conti alla rovescia, post-it, trilli e notifiche. Vogliamo creare un’impressione di autocontrollo, ma non facciamo che vivisezionare continuamente il nostro tempo.
Benedetta, invece, analizza il nuovo logo della Triennale di Milano, descrivendo le ideologie di uniformità visiva che hanno guidato questa progettazione grafica e criticando le loro radici patriarcali.
Prendendo ispirazione proprio dalle sue parole, abbiamo provato a reinventare la grafica di menelique. Kinga Raciti e Chiara Simoncelli, le nostre nuove art director, hanno ripensato la progettazione grafica di questo nuovo menelique, provando a renderlo più accessibile, ma anche più creolo e vanitoso, sporcandolo e colorandolo ancora più di quanto non fosse prima.
E sulla nuova carta in pasta colorata ospitiamo poesie e narrativa. I CUT-UP di Ilaria Grasso, Ubaldo Ciccione e Francesca Corno sono creati grazie all’accostamento di testi selezionati dal flusso verbale quotidiano che subiamo online. La scrittrice e poetessa zambiana Mubanga Kalimamukwento, al contrario, struttura un poema diviso in quattro stanze: Migrante è l’occasione di immedesimarsi nella dissociazione e nelle microaggressioni subite da chi, per volontà o per necessità, decide di andare a vivere in un paese straniero. Infine, Rémy Ngamije e Salvatore Iaconesi contribuiscono a questa sezione con due racconti: Complementi e Eternamente 13.
Numeri, infografiche, dati e mappe sul design sono presentati nella sezione centrale di fiction-non-fiction, grazie al lavoro del nostro Sebastiano La Monaca: Design in numeri permette uno sguardo privilegiato sul problema del sessismo nel design contemporaneo e sui dati del settore progettistico in Europa.
Matteo Lupetti, in Player2: gaming e design, apre questo nuovo format del nostro magazine, a tema videogiochi. Matteo ha intervistato tre game designer: David Cribb (Colestia), Paolo Pedercini (Molleindustria) e Francesco Rugerfred Sedda. La politica entra nel game design, ma può anche imparare qualcosa dal game design.
Nella sezione culturale che chiude questo numero, Artivist, Giovanna Maroccolo si confronta con Lea Cáceres, fashion designer di Valparaíso votata al superamento della binarietà di genere, mentre Daniele Ferriero, Marco Petrelli, Marianna Rossi, Danilo Karim Kaddouri e Marcello Torre curano le pagine conclusive, dedicate a Kulture:Room, una raffica di venti recensioni di saggistica, narrativa, serie tv, musica elettronica e hyperpop.
Con questo numero apriamo il secondo anno di menelique, che sarà possibile solo grazie al sostegno economico e morale di chi ci legge e di chi sta al nostro fianco. Per merito loro, abbiamo raddoppiato in pochi mesi il numero di copie distribuite: grazie per averci permesso di insinuare dubbi e stimolare critiche. Continueremo a farlo.
👉 Diventa complice di menelique, è uscito il nuovo numero, ‹DESIGN›.
Indice:
Editoriale
di Giovanni Tateo
Hackerare l’algoritmo
di Iyo Bisseck
Note dall’Iraq
di Karim Sultan
BDSM ≠ Fashion Design
di Sofia Torre
Rigenerare la moda
di Viola Stancati
Data Science Co-op
di Susan Calvin
Cut-up
di Ilaria Grasso Ubaldo Ciccione Francesca Corno
Migrante
di Mubanga Kalimamukwento
Design in numeri (infografiche)
Player2: gaming e design
di Matteo Lupetti
Complementi
di Rémy Ngamije
Eternamente 13
di Salvatore Iaconesi
Ubuntu
di Mugendi K. M'Rithaa
Il design diluito
di Silvio Lorusso
Architettura radicale
di Ross K. Elfline
A for Anything
di Benedetta Crippa
Entreprecariat
di Silvio Lorusso
Lea Cáceres
di Giovanna Maroccolo
Kulture Room
di Daniele Ferriero Marco Petrelli Marianna Rossi Danilo K. Kaddouri Marcello Torre
Indice Episodi online (su menelique.com):
Design nel postcapitalismo
di Marco Petroni
Scenografie politiche
di Parasite 2.0
Il design dell’illusione
di Alessandro Longo
Il modello mediterraneo
di Alex Giordano
L’eredità coloniale nel design (da Decolonising Design)
di Ksenija Berk