NET08 DESIGN, #4 / E04

Il modello mediterraneo

Il Mediterraneo è il primo mezzo di comunicazione che ha connesso popoli e culture differenti: lungo il Mediterraneo si poteva già parlare di rete e unità tra le città e i borghi. L’elemento unificante va ricercato nella ‹proiezione spaziale dei rapporti sociali›.

Il modello mediterraneo

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Stiamo sperimentando in questi mesi lo straniamento collettivo di fronte a un virus che ha generato una pandemia. Ammettiamolo: non eravamo preparati! Come si procede, ora, in questo mondo danneggiato

La filosofa Donna Haraway, dalla quale abbiamo preso queste parole che ci danno una chiara idea delle difficoltà in cui si trova il nostro Pianeta, ci invita a interagire con l’ambiente nel quale viviamo e a pensarci legati a un’infinità di creature. Con-divenire, sostiene, vuol dire che enti ontologicamente eterogenei diventano ciò che sono solo in un processo relazionale. Nature, culture e soggetti non preesistono all’intreccio, ma divengono insieme incessantemente. Facciamocene una ragione: ciò che sta accadendo non è un incidente di percorso, è il nostro percorso.

Questo invito a sentirsi un ‹con-divenire› ci trova concordi. Tutta la nostra ricerca-azione, infatti, è ispirata da principi di co-creazione di conoscenze, soluzioni e idee che possano favorire un maggior benessere diffuso per le persone e per l’ambiente. E nella nostra idea le tecnologie vanno piegate a questa funzione per essere utili strumenti a questi fini. Perché, come diceva il filosofo francese Bernard Stiegler, le tecnologie sono un pharmakon, cioè sono insieme il veleno e anche la cura possibile.

In questo articolo vogliamo raccontare chi siamo e perché pensiamo che sia importante realizzare un modello mediterraneo di trasformazione e di sviluppo sostenibile.

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UN PROGRAMMA DI RICERCA-AZIONE: IDEE, PERSONE, TERRITORIO

Societing 4.0 è il nome del nostro Programma di ricerca-azione che si occupa della social digital transformation, cioè del rapporto tra innovazione sociale e innovazione tecnologica. Il nome del Programma nasce da un termine utilizzato da un gruppo di sociologi che, qualche anno fa, ha coniato il neologismo Societing partendo dalla parola marketing. Con questo termine si intese dire che l’impresa non è un semplice attore economico che si adatta al mercato ma è a tutti gli effetti un attore sociale che appartiene, quindi, al contesto sociale.

Al concetto di Societing abbiamo voluto aggiungere il 4.0 per enfatizzare la necessità che oggi abbiamo bisogno di riflettere sul ruolo delle tecnologie (tutte, comprese le più evolute), affinché la promessa di rivoluzione che queste tecnologie si portano appresso, favorisca un modo ecologico di ripensare i rapporti tra società, economia e ambiente. Sono queste, infatti, le tre dimensioni-chiave che connotano la nostra epoca definita in vari modi tra cui, da alcuni, ‹Antropocene› – l’era dell’uomo – per via dell’impronta dell’essere umano sull’ecosistema globale, e da altri ‹Capitalocene›, considerando il capitalismo come un regime ecologico che si fonda sulla subordinazione della natura alle necessità della produzione e accumulazione di ricchezza.

L’idea centrale che proponiamo attraverso il programma di ricerca-azione Societing 4.0 è di considerare i cambiamenti e le innovazioni come processi insieme sociali, economici e rispettosi dell’ambiente, che vanno progettati, sperimentati e adottati nelle specialità delle realtà locali, a partire dagli aspetti di contesto globali che ne sono inevitabili condizioni e necessario confine.

I principi su cui si fonda la nostra ricerca-azione sono 10:

  1. L’orientamento a nuove forme di futuro

Per noi i cambiamenti e i processi di innovazione non sono fini a sé stessi e non possono essere predefiniti ma sono il prodotto di processi di confronto, scambio e reciproco apprendimento. Per questo gli obiettivi da raggiungere con la ricerca e anche con le progettualità messe in campo, sono sempre in fase di ridefinizione e l’azione viene orientata alla possibilità di aprire lo spazio a forme di futuro: immaginabili, possibili, desiderabili.

  1. La collaborazione

Noi pensiamo che il cambiamento si possa realizzare solo con la partecipazione e il protagonismo di tutti i soggetti e le attrici presenti in ogni ecosistema. Significa riconoscere l’importanza della compresenza di attori tra loro differenti che, con il loro apporto, consentano di ricombinare i saperi, i punti di vista, i linguaggi, per arrivare a definire soluzioni più efficaci per affrontare la complessità.

  1. L’incontro tra ricerca e azione

Siamo convinti che sia necessario superare la separazione tra la teoria e la pratica, creando tra questi un ponte che favorisca l’incontro, la reciproca conoscenza e lo scambio. Ricerca e azione si sviluppano e si ricombinano insieme, rafforzandosi. L’interazione tra teoria e pratica richiede un approccio transdisciplinare, necessario a affrontare la complessità dei contesti socio-economico-ambientali.

  1. L’apertura al cambiamento

La ricerca-azione si apre, ogni volta, alla possibilità di nuove scoperte. Ogni volta parte e continua senza condizionamenti, così i problemi analizzati sono soggetti a una possibile riformulazione. Le azioni da intraprendere e le loro conseguenze non possono essere mai completamente definite e conosciute in anticipo: arrivano come frutto di interazioni, scambi e apprendimenti continui.

  1. Ri-conoscere la situazione

Crediamo nel radicamento in un contesto reale, del quale è fondamentale conoscere e riconoscere le specificità. La ricerca-azione, che utilizza e produce pensiero e conoscenza generale, parte e si rivolge a ambiti di intervento (geografici, tematici, sociali…) concreti, che hanno le loro specificità, da comprendere, analizzare e valorizzare. I processi di conoscenza sono funzionali a definire idee e soluzioni che verificano la loro utilità e efficacia alla prova dei fatti.

  1. Ri-creare le situazioni

Utilizziamo il dirottamento di senso di concetti precostituiti (il détournement di Debord). È un metodo che ci consente di giocare a inserire elementi, che abitualmente appartengono a un contesto specifico, all’interno di un contesto differente, per creare relazioni inconsuete dalle quali ricavare nuovi significati possibili, nuove idee e nuove soluzioni. In questo modo, per esempio, si costruisce l’immaginario che fa dialogare l’innovazione tecnologica e i contesti socio-culturali in cui prevale la tradizione: la tecnologia può avere una funzione in questi contesti e insieme smettere di essere il simbolo dell’alienazione.

  1. L’abilitazione alla cura del bene comune

Lavoriamo per abilitare un pensiero e un’azione personale e collettiva che generino comportamenti connettivi, orientati socialmente, creativi, produttivi. Supportiamo soggetti e comunità di apprendimento capaci di incidere positivamente sulle condizioni e sugli effetti del produrre, dell’innovare, del vivere insieme, del prendersi cura. Guardiamo al bene comune.

  1. Lo stile artigianale

Come nel mestiere dell’artigiano, ci sta a cuore realizzare un lavoro da cui sia possibile ricavare costantemente un sapere necessario e nuovo, dove ogni fase del ‹processo di produzione› diventa parte del tutto, che va controllato e curato con la disponibilità a apprendere dagli errori, motivati dalla continua possibilità del miglioramento.

  1. Le connessioni

Creiamo ponti: nell’era delle reti significa connettere istituzioni culturali e società civile; aree interne, rurali e bacini metropolitani; micro-piccole e medie imprese e corporazioni internazionali; discipline e metodi; strutture istituzionali di ricerca e la moltitudine di iniziative dal basso, di esperimenti quotidiani che ci suggeriscono nuove strade per uscire dal fallimento del presente.

  1. La maieutica

Ci ispiriamo all’ars maieutica per favorire, attraverso il dialogo, l’emersione di idee e punti di vista – individuali e collettivi – che esistono ma faticano a essere esplicitati. L’emersione e la condivisione di questi segnali deboli, comunque rilevanti per chi li tiene sottotraccia, possono avere una funzione importante nella definizione delle soluzioni di problemi complessi. Il problema, infatti, può già tenere in sé le matrici delle sue soluzioni.

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UN MODELLO DI SVILUPPO MEDITERRANEO

Societing 4.0 studia, elabora e sperimenta un modello mediterraneo che prende ispirazione dalle caratteristiche storiche, geografiche e simboliche del Mediterraneo. Questo modello è il paradigma concettuale al quale Societing 4.0 si orienta per la realizzazione di tutte le attività e le riflessioni critiche elaborate; un paradigma-performance che si forgia e si plasma in un processo continuo di sperimentazione.

Il Mediterraneo è per noi un orizzonte simbolico, oltre a essere un (ovvio) riferimento territoriale:

il  mindset mediterraneo ci suggerisce una strada per governare la complessità contemporanea nei tempi della  network society.

Nello sviluppo delle nostre attività abbiamo colto l’indicazione di Ian Chambers e Marta Cariello [1] che, attraverso la questione mediterranea, ci suggeriscono la necessità di rendere plurali gli sguardi e i linguaggi sulla geografia, la storia, la cultura, la politica, l’economia. È importante per noi dichiarare il nostro sguardo plurale sulla contemporaneità, insieme all’esigenza del confronto e alla necessità della molteplicità dei linguaggi, che riconoscono la loro matrice culturale nei dissòi logoi. Sono i discorsi in contrasto, che ci ricordano che ‹all’inizio non c’è mai l’uno ma il due o i più… Si tratta solo di evitare che i due si allontanino fino a desiderare la distruzione reciproca, di fare in modo che essi continuino a parlare anche quando la traduzione è difficile›. Questa aspettativa di pluralità e confronto diventa, come abbiamo detto anche sopra, un metodo di lavoro e un approccio all’incontro tra discipline, punti di vista, attori (imprese, istituzioni, accademia, scienza…).

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IL MEDITERRANEO È STATO IL PRIMO INTERNET DELLA STORIA

Il Mediterraneo è il primo mezzo di comunicazione che ha connesso popoli e culture differenti: lungo i confini storici delle sponde del Mediterraneo si poteva già parlare di rete e unità tra le città e i borghi. L’elemento unificante va ricercato nella ‹proiezione spaziale dei rapporti sociali› [2]. Questo ha richiesto e richiede anche oggi una trasparenza e una facilità nella comprensione delle pratiche e nelle attività di sviluppo, per provare a evitare disordini scatenati dalla vita pubblica e dalla convivenza di più civiltà. In questo senso il Mediterraneo ci riporta al concetto di infosfera, il guscio che avvolge il reale con la globalità delle informazioni prodotte volontariamente e/o involontariamente da esseri umani, robot, software, riducendo radicalmente la dimensione del tempo e esponendoci a un livello di complessità sempre più aumentato. Questo spazio nel quale viviamo è, come il Mediterraneo, uno spazio non troppo grande e non troppo piccolo, dove la categoria dell’altro è sinonimo di molteplicità e di varietà [3].

Il modello mediterraneo mette in discussione i modelli estrattivi

guardando alla redistribuzione del valore come diffusione di opportunità. Inoltre considera le tecnologie come strumenti che assumono un ruolo rilevante solo quando sanno parlare con i contesti nei quali devono essere applicate per poter favorire i processi di cambiamento, per abilitare le connessioni tra diversi attori/attrici e per facilitare le persone. Per questo supporta la formazione e la crescita ecosistemica dei processi di innovazione sociale e tecnologica, sostenendo una diffusa alfabetizzazione a vantaggio di una distribuzione condivisa dei poteri e delle responsabilità delle/nelle comunità, anche per evitare che intelligenze artificiali (cioè intelligenze che agiscono in autonomia, attraverso le macchine o attraverso dispositivi sociali-economici-tecnici-politici-militari-religiosi…) condizionino in modo negativo la vita dell’umanità.

Il gioco di Societing 4.0 è quello di provare a immaginare una via sudista all’innovazione e all’impresa 4.0, che riesca a andare oltre al pensiero unico della massimizzazione del profitto. 

Per sperimentare concretamente questo modello abbiamo individuato due elementi-chiave: 

  1. le comunità che sono, per noi, uno spazio di opportunità, non necessariamente legate a un territorio specifico, nel senso che le nuove comunità vanno viste come un intreccio di conversazioni cui le persone partecipano in modo diversi, scegliendo dove, come e per quanto tempo allocarvi le proprie risorse (di attenzione, competenze, disponibilità relazionale). Il loro primo carattere distintivo rispetto alle comunità premoderne sta nel fatto che i legami che vi si intessono sono il risultato di una scelta. Stiamo parlando di comunità intenzionali; 
  2. la tecnologia che è il sistema di co-creazione di soluzioni possibili e il facilitatore delle connessioni che consente all’agire degli innovatori di essere iperlocale e diffondersi nell’infosfera.

Questo modello privilegia la condivisione e l’uso di sistemi aperti (open source) che consentono di modificare e migliorare in modo libero le tecnologie, in armonia con le conoscenze delle comunità, adattando le tecnologie alle necessità e consentendone impieghi originali. Per fare un esempio: un diffuso uso di sensori e dell’internet of things può generare una quantità di dati che, in un’economia basata su piccoli produttori (com’è l’Italia, specie del Sud e delle aree interne), potrebbero essere sfruttata in forma di data commons – gestiti da governi regionali o da associazioni di categoria – da utilizzare a vari fini  (dalle previsioni del tempo o dei parassiti in aree vaste, alla gestione di nuovi modelli di logistica e distribuzione più efficienti e ecologici, fino alla creazione di strumenti finanziari per la condivisione dei rischi, ecc.).

Abbiamo bisogno di molto lavoro di invenzione per ripensare radicalmente il sapere, i modelli teorici dominanti e l’interpretazione della realtà. 

(B. Stiegler)

 

[1] Chamerbs I., Cariello M., La questione mediterranea, Mondadori, 2019

[2] Pagnini, M.P. Le metafore del Mediterraneo, Editori Università di Trieste, Trieste, 2006, p. 15.

[3] Cassano, F. Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. X.

 

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Design, menelique magazine #4, inverno 2020/2021.

Il ‹buon design› è cattivo design. Oggi è considerato buon design quello che rispetta principi formali rigidi, semplici e asciutti, facilmente identificabili e riproducibili, che guardano con rispetto alla tradizione occidentale e che permettono di distinguersi da ciò che è considerato, per un motivo o per un altro, inferiore, dozzinale, volgare. In sostanza si è scelto di fare un passo indietro, riprendendo una ammirazione mai sopita per la purezza del design modernista. Nella grafica: le linee rette, il bianco e il nero, la composizione bilanciata, l’astrazione, la specularità, la semplificazione. Questo buon design, così elitista, così elegante, così concettuale, nell’Italia di oggi è un cattivo design perché incapace di affrontare le sfide dell’inclusività alle quali sono chiamate industrial designer e graphic designer, architetti, programmatrici, data scientist e data analyst, sviluppatrici di videogiochi, fashion designer, artisti musicali, visivi e performativi, così come chiunque abbia a che fare con le discipline creative e progettuali… 

 

Questa classe di intellettuali, alla quale ci rivolgiamo con questo numero 4 di menelique, e che in passato è stata definita ‹cognitariato› (non senza una nota di disprezzo), è oggi chiamata a rispondere ai cambiamenti sociali che stanno investendo il Paese in questi ultimi anni e che si intensificheranno nei prossimi decenni: la loro sfida sarà quella di progettare l’inclusività, non l’elitismo. La complessità, non la semplicità. L’ibridazione, la pluralità del colore, la vanità, il superfluo, il cosmetico anziché il puro e l’essenziale. 

Come la figura umana che nella copertina di questo #4 deforma la griglia di impaginazione editoriale e mischia rabbiosamente i colori, rompendo la binarietà bianco/nero, così in queste pagine proveremo a criticare quel cattivo ‹buon design› e le disuguaglianze nascoste nelle pratiche creative e progettuali contemporanee.

👉Dai un’occhiata alle prime pagine
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👉Leggi l’editoriale

Indice:

Editoriale
di Giovanni Tateo
Hackerare l’algoritmo
di Iyo Bisseck
Note dall’Iraq
di Karim Sultan
BDSM ≠ Fashion Design
di Sofia Torre
Rigenerare la moda
di Viola Stancati
Data Science Co-op
di Susan Calvin
Cut-up
di Ilaria Grasso 
Ubaldo Ciccione 
Francesca Corno
Migrante
di Mubanga Kalimamukwento

 

Design in numeri (infografiche)

 

Player2: gaming e design
di Matteo Lupetti
Complementi
di Rémy Ngamije
Eternamente 13
di Salvatore Iaconesi

Ubuntu
di Mugendi K. M'Rithaa
Il design diluito
di Silvio Lorusso
Architettura radicale
di Ross K. Elfline
A for Anything
di Benedetta Crippa
Entreprecariat
di Silvio Lorusso
Lea Cáceres
di Giovanna Maroccolo
Kulture Room
di Daniele Ferriero
Marco Petrelli
Marianna Rossi
Danilo K. Kaddouri
Marcello Torre

Indice Episodi online (su menelique.com):

Design nel postcapitalismo
di Marco Petroni
Scenografie politiche
di Parasite 2.0
Il design dell’illusione
di Alessandro Longo
Il modello mediterraneo
di Alex Giordano
L’eredità coloniale nel design (da Decolonising Design)
di Ksenija Berk

Immagini di: