NET09 Lezioni perdute, #3 / E05
Genere e accademia
Anche in accademia e nei dipartimenti di filosofia è presente un forte divario tra uomini e donne. Le statistiche mostrano una sottorappresentazione delle donne nelle posizioni a tempo indeterminato e in quelle di comando. La ragione è da ricercarsi non in una minore razionalità delle donne, ma negli stessi meccanismi che le discriminano negli altri ambiti lavorativi.
Le donne sono scarsamente rappresentate nei dipartimenti di filosofia e, più in generale, in accademia. Secondo alcune statistiche, circa l’80% delle posizioni accademiche (un dato questo generale, che non riguarda nello specifico la filosofia) è occupato da uomini. Questo dato statistico è purtroppo una triste realtà non solo in Italia ma anche in gran parte d’Europa e nel resto dei paesi occidentali. È sufficiente fare una breve ricerca on-line e visitare i siti dei più importanti atenei europei, statunitensi o australiani per prendere coscienza del fatto che ci sono poche donne tra il personale docente universitario e che, anche quando queste sono presenti, in pochi casi ricoprono i più alti livelli della gerarchia accademica. Vale a dire, in poche svolgono il ruolo di ordinarie (Full Professor). Le donne possono essere discriminate in accademia in modi molti diversi. Vediamo di seguito alcune forme in cui questa discriminazione può manifestarsi.
Rispetto agli uomini, le donne fanno maggior fatica a raggiungere certe posizioni e incontrano nella loro carriera più impedimenti e ostacoli. A parità di curriculum, un dipartimento preferisce assumere un uomo anziché una donna, specie quando si tratta di un ruolo di prestigio, perché si ritiene il primo più autorevole e più competente della seconda. Un professore ordinario maschio che è stato tutor o ha seguito una studentessa durante gli inizi del suo percorso accademico (per esempio per la laurea o il dottorato) è portato a scrivere lettere di raccomandazione (le quali possono fare la differenza in sistemi accademici in cui questo tipo di lettere sono richieste nella procedura di selezione) meno entusiaste o meno elogiative rispetto a quelle che di solito redige per i suoi studenti o dottorandi maschi con un curriculum simile.
A causa di questi e altri ostacoli, statisticamente parlando, una donna impiega in media molto più tempo a fare carriera e a ottenere una posizione a tempo indeterminato o ha bisogno di costruire un curriculum vitae più competitivo (con un maggior numero di pubblicazioni e titoli) rispetto a quello di un uomo.
Ancora, nei programmi d’esame (syllabus), sono presenti per lo più libri e saggi scritti da uomini. Nei convegni nazionali e internazionali, le donne keynote speaker sono in minoranza anche quando ci sarebbero altre esperte da invitare. Durante seminari o workshop (nei dipartimenti di filosofia ciò accade con una certa frequenza quando si partecipa a un gruppo di lettura), se chi tiene la relazione è donna in media viene interrotta o viene corretta più spesso rispetto al caso in cui il relatore è uomo. Durante la discussione che segue una relazione a un convegno, chi modera di solito dà la parola prima agli uomini in sala e solo successivamente alle donne presenti. Com’è stato argomentato in alcuni saggi, questi atteggiamenti discriminatori hanno talvolta a che fare con meccanismi che si attivano in maniera inconscia e sono spesso viziati da stereotipi e pregiudizi impliciti. Inoltre, alcuni dati mostrano, l’università non è neppure del tutto immune dal fenomeno delle molestie sessuali. In generale, la conclusione che possiamo tracciare è che, anche in accademia, le donne fanno molta più fatica rispetto agli uomini a far ascoltare la propria voce, a essere riconosciute come autorevoli, a essere prese sul serio, a far riconoscere la competenza che meriterebbero. Certamente, rispetto al passato, lo scenario attuale in accademia è in parte cambiato e sta cambiando. Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare per contrastare la disparità di genere anche in quest’ambito.
Consideriamo di seguito il caso specifico del settore scientifico disciplinare <filosofia>. Qual è la principale causa del gender gap in quest’ambito scientifico? Vediamo di seguito i numeri del contesto accademico italiano e poi più da vicino le spiegazioni che di questa forma di discriminazione sono state offerte.
1. Il gender gap in Italia: i dati raccolti da SWIP Italia
Dalla sua fondazione (anno 2018), la SWIP Italia (Società italiana per le donne in filosofia) è impegnata nella raccolta dei dati sulla presenza delle donne in posizioni accademiche e di ricerca in Italia. La SWIP ha redatto due report: il primo nel 2018 curato da Francesca Ervas, Giulia Casini, Francesca Forlè e Marina Sbisà; il secondo pubblicato nel febbraio del 2020 a cura di Francesca Ervas, Francesca Forlè, Marina Sbisà e Sarah Songhorian. Entrambi i report sono disponibili sul sito di SWIP Italia.
Che quadro emerge da questa raccolta dati? I dati raccolti parlano chiaro e sono piuttosto deprimenti. L’obiettivo della raccolta dati SWIP è quello di capire se vi siano o meno delle differenze di genere rispetto alle seguenti posizioni accademiche: Professoressa Ordinaria/Professore Ordinario; Professoressa Associata/Professore Associato; Ricercatrice/Ricercatore a tempo indeterminato; Ricercatrice/Ricercatore a tempo determinato di tipo B (RTDB); Ricercatrice/Ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTDA). Il macro-settore <filosofia> è suddiviso dal Ministro dell’Università e della Ricerca (MIUR) in tre diverse aree: area 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche), area 12 (Scienze giuridiche), area 14 (Scienze politiche e sociali). I dati raccolti da SWIP tengono presente di questa suddivisione in aree diverse e della ripartizione del macro-settore nei seguenti settori scientifici: 11/C1-Filosofia teoretica; 11/C2-Logica, storia e filosofia della scienza; 11/C3-Filosofia morale; 11/C4-Estetica e filosofia dei linguaggi; 11/C5-Storia della filosofia; 12/H3- Filosofia del diritto; 14 A1-Filosofia politica.
Secondo i dati raccolti a dicembre del 2019, vi sono ancora più uomini che donne a occupare posizioni accademiche a tempo indeterminato (donne: 31,19%, uomini: 68,81%); mentre la differenza tra uomini e donne che occupano posizioni precarie è meno statisticamente rilevante (donne: 39,20%, uomini: 60,80%).
I due report rivelano anche altri dati importanti. Nello specifico, se si prende in considerazione il personale precario, emerge una differenza significativa di genere tra i ricercatori precari junior; diversa invece è la situazione rispetto alle posizioni post-doc. Più precisamente, la differenza tra donne e uomini senza tenure track (RTdA) rimane ancora significativa (nel 2019: donne 35,00%, uomini 65,00%; nel 2018: donne 32,47%, uomini 67,53%), mentre il dato dei post-doc è meno rilevante (nel 2019: donne 43,40%, uomini 56,60%; nel 2018: donne 41,24%, uomini 58,76%).
Secondo queste statistiche, i dati di fine 2019 non sono così distanti da quelli presentati a fine 2018. Lo scenario è pressoché lo stesso: nelle posizioni più alte accademicamente o quelle in cui si ha più possibilità di far carriera (quali ad esempio le posizioni di Ordinaria/Ordinario; Associata/ Associato; RTDB), le donne sono significativamente in un numero inferiore rispetto agli uomini e statisticamente questa differenza aumenta man mano che il livello del ruolo accademico aumenta. La posizione di Ricercatore/Ricercatrice a tempo indeterminato rappresenta un’eccezione, ossia non presenta differenze significative tra donne e uomini (nel 2019: donne 37,85%, uomini 62,15%; nel 2018, donne 36,89%, uomini 63,11%). Nel complesso, i risultati mostrano che, come nel 2018, anche del 2019 le donne sono sottorappresentate in Italia nei dipartimenti in cui si insegna filosofia. In particolare, il gender gap emerge con forza rispetto a quelle posizioni che offrono più possibilità di far carriera o quelle in cui la ricerca è caratterizzata da una maggior indipendenza. Dopo aver visto i numeri del gender gap italiano, passiamo a illustrare le possibili spiegazioni delle cause di questo fenomeno.
2. <Voci differenti> o <Tempesta perfetta>?
Per spiegare la questione del gender gap in filosofia sono state offerte due tipi di spiegazione che, a mio avviso, si possono applicare anche al caso italiano. In un noto articolo pubblicato nel 2012, Louise Antony distingue due diversi approcci per spiegare la sottorappresentazione delle donne in filosofia, che chiama rispettivamente <Voci differenti> (Different Voices) e <Tempesta perfetta> (Perfect Storm). Secondo il primo tipo di spiegazione (<Voci differenti>), le donne in filosofia sarebbero discriminate a causa del loro essere differenti. All’interno di questa cornice concettuale, la sottorappresentazione delle donne in filosofia sarebbe causata dall’intrinseca differenza delle donne rispetto agli uomini. Come alcune studiose hanno affermato, le differenze tra donne e uomini si manifestano e traducono anche in due modi di fare filosofia. Le donne fanno filosofia e parlano una lingua filosofica diversa dagli uomini. Per esempio, è stato affermato, le donne hanno intuizioni filosofiche diverse e offrono risposte diverse ad alcune domande filosoficamente rilevanti (come quelle sollevate in alcuni esperimenti mentali). Per questo motivo, le donne in filosofia non sono prese in seria considerazione dai loro colleghi uomini. Inoltre, le donne filosofe manifesterebbero atteggiamenti meno competitivi e aggressivi quando argomentano e in generale tendono a essere più collaborative degli uomini. Il fatto di essere meno competitive renderebbe le donne meno capaci di affrontare le dispute filosofiche. Ciò sarebbe in linea con chi sostiene che le donne avrebbero anche modi diversi di affrontare le questioni etiche o diversi <modi di conoscere>. Queste diversità non sarebbero adeguatamente riconosciute dalla filosofia dominante. Per questo motivo, la differente voce delle donne ha difficoltà a trovare spazio nelle istituzioni accademiche.
Antony considera questa spiegazione della sottorappresentazione delle donne in filosofia poco convincente, e a ragione aggiungo io. A suo dire, queste presunte differenze intrinseche tra uomini e donne non trovano nessuna conferma empirica. Inoltre, l’approccio <Voci differenti> è intellettualmente imperfetto, inutile e potenzialmente controproducente per le donne. In alternativa, Antony propone e difende l’approccio <Tempesta Perfetta>. Secondo quest’approccio, la discriminazione delle donne in filosofia sarebbe invece causata dall’insieme e dalla combinazione di diversi fattori. Le cause che determinano la discriminazione delle donne filosofe sono, argomenta Antony, molteplici e interconnessi.
Il gender gap in filosofia è strettamente legato agli stessi meccanismi attraverso cui la discriminazione sessuale si realizza socialmente fuori dal contesto accademico.
In questa prospettiva, la filosofia emargina le donne perché le pratiche discriminatorie convergono, interagiscono e si intensificano nei dipartimenti di filosofia generando appunto una tempesta perfetta. Secondo Antony, gli effetti di queste pratiche discriminatorie esterne si intensificano nei dipartimenti di filosofia <proprio come un sito geografico può servire da punto di convergenza, intensificazione e interazione delle forze meteorologiche>. I fattori che generano la <Tempesta Perfetta> non sono dunque interni alla filosofia. Come sottolineato da Marina Sbisà, tra questi fattori, un ruolo importante lo giocano anche: i pregiudizi e gli stereotipi di genere; il ruolo che le donne svolgono nelle relazioni di cura; il difficile percorso delle donne per essere riconosciute come soggetti autonomi. Per ragioni di spazio, mi limiterò nelle righe che seguono a qualche considerazione sul primo fattore, ossia quello dei pregiudizi e degli stereotipi.
Un pregiudizio che gioca un ruolo nella sottorappresentazione delle donne in filosofia ha a che fare con la convinzione che la filosofia sia ancora pensata come una disciplina maschile e lo stereotipo della donna come per natura meno adatta al ragionamento rigoroso.
È ancora molto diffusa l’immagine dell’irrazionalità come associata al femminile. La razionalità, vale a dire, è in genere considerata come una caratteristica maschile. Da Aristotele in poi, la tradizione filosofica occidentale ha per lo più concepito la razionalità come la capacità di usare la ragione. Sebbene nessun dato scientifico abbia mai dimostrato che le donne siano per natura irrazionali o meno razionali degli uomini, il luogo comune vuole che le donne siano meno portate per lo studio di certe discipline in cui la razionalità è strumento indispensabile. Questa convinzione ha avuto come conseguenza l’estromissione delle donne dalle pratiche scientifiche e dalla sfera filosofica. Ad alimentare la disparità di genere e l’immagine delle filosofe come meno competenti dei filosofi, sono anche fattori come i seguenti: la scarsa presenza di ricercatrici e professoresse da prendere come <modelli> per le studentesse che frequentano le lezioni e i corsi universitari che – per questa ragione – in molti casi le distolgono dal proseguire la loro carriera alla fine del dottorato. Il blog <What is it like to be a woman in philosophy?> racconta le esperienze e le difficoltà di lavorare “in quanto donne” nei dipartimenti di filosofia.
Termino questa breve disamina sul gender gap con una piccola considerazione sulla questione del merito e della parità di genere in accademia. Alcuni affermano che, per raggiungere l’uguaglianza di genere, ci vogliono più donne a occupare determinate posizioni. Tuttavia, molti si dicono contrari alle cosiddette <quote rosa> perché adottare questa tipologia di strategia riparatrice si tradurrebbe nel collocare le donne in certe posizioni solo perché <donne>, indipendentemente dal loro merito. È necessario tuttavia precisare che, quando si afferma che ci vogliono più donne in determinate posizioni, quello che si afferma è qualcosa di diverso. In primo luogo, con quest’affermazione si vuole dire che, in caso di pari merito, non vengano scelti per certe posizioni regolarmente o prevalentemente uomini. In secondo luogo, si vuole dire che le qualità delle donne (quelle stesse qualità che sono fonte di apprezzamento in un uomo) siano sempre adeguatamente riconosciute e non sottovalutate a causa pregiudizi di varia natura. Anche in accademia.
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Indice:
Editoriale. Lezioni perdute.
di Giovanni Tateo
Atena nera: razzismo in accademia
di Franklin Obeng-Odoom
Burger King University
di Eleonora Priori
Sesso imperfetto
di Robin Wilson-Beattie
Un uomo sfortunato
di Rémy Ngamije
Speaking English
di Mubanga Kalimamukwento
Il primo giorno di una nuova scuola
di Salvatore Iaconesi
Teachers
di Masande Ntshanga
Sequenze di una ribellione
di Mali Kambandu
Gamificando non si impara
di Matteo Lupetti
Gaokao
di Zheng Ningyuan
Percorsi precari
di Marcello Torre
Decolonizzare l’università
di Robbie Shilliam
Genocidio antigitano
di Kale Amenge
Conversazione con Ana Gallardo e Nina Fiocco
di Giovanna Maroccolo
Kulture Room
di Marianna Rossi Daniele Ferriero Marco Petrelli Danilo K. Kaddouri
Il precedente impiegato polivalente, M.
di Simone Marcelli Pitzalis
Indice Episodi online (disponibili su menelique.com):
Numero primo: Ruggero Freddi
di Matteo Cresti
Genere e accademia
di Vera Tripodi
Università Sudamerica
di Andrés Cáceres
Femminismo anticarcerario. Amicizia, stupro, comunità.
di Giusi Palomba
L’ora di Open source
di Daniele Gambetta e Alessandro Tartaglia
Pedagogia radicale
di Donna Nevel
Immagini di:
- Flavia D’Anna
- Davide Bart. Salvemini
- Nadia Pillon
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- Adam Tempesta
- Matteo Dang Minh
- Eduardo Viviani
- Ary Uvas
- Dino Caruso Galvagno
- Monica Torasso
- Marta Arnaudo