NET09 Lezioni perdute, #3 / E04
Università Sudamerica
Un racconto dalle università del Sud America, laboratori di diritti e centri di aggregazione politica. Sebbene con modelli diversi da stato a stato, le università sono state il centro propulsore di movimenti per i diritti politici e civili. La pandemia da Covid però sta dando una frenata a tutto ciò.
Piuttosto, è una catastrofe che si dipana giorno dopo giorno. Non c’è un momento specifico in cui abbia avuto luogo il disastro: il mondo non è finito nel fragore di un’esplosione, ma piuttosto si spegne offuscandosi, si disfa un pezzo dopo l’altro, per gradi… Cosa abbia causato la catastrofe, nessuno lo sa. La causa è lì da qualche parte, nel lontano passato; così tanto distante dal presente da sembrare frutto del capriccio di una qualche entità maligna: un miracolo in negativo, una maledizione che nessuna penitenza può mitigare. Una tale piaga può essere lenita soltanto attraverso un intervento che non può essere previsto in anticipo; così come impossibile da prevedere era stato lo scoppio stesso di questa maledizione. Ogni azione è inutile; solo le speranze più insensate hanno senso: superstizione e religione – le prime ancore di salvezza cui si aggrappano i disperati – dilagano.
Mark Fischer
Realismo Capitalista
Prima di cominciare vorrei chiarire alcune questioni presenti in questo mio intervento e che potrebbero presentarsi come problematiche. Anzitutto voglio dire a tutte quelle persone che non hanno mai avuto l’opportunità di visitare l’America Latina, che è un subcontinente molto diversificato e molto ampio, dove non esiste un’unica realtà, come spesso si tende a credere da questa parte dell’Atlantico e come, con altrettanta frequenza, l’Europa è immaginata agli occhi delle persone nate e cresciute in America Latina. Tra il Messico e l’Argentina ci sono migliaia di chilometri e di differenze culturali ed è giustamente per questo motivo che, quando parlerò di America Latina, si deve immaginare un gruppo di paesi che condividono problemi simili a livello economico, politico e sociale ma non un’unità omogenea. Detto questo, parlare dell’università e della ricerca in un territorio così ampio è equivalente a pensare una profonda diversità che va dalla gratuità dell’educazione pubblica in Argentina alle onerose tasse che si pagano in paesi come il Cile o la Colombia per poter accedere al diritto allo studio.
Chi scrive ha vissuto fino ai 18 anni in Colombia e, successivamente, per 9 anni in Argentina e ha partecipato in maniera attiva nei collettivi studenteschi. In Colombia, per esempio, quando frequentavo il corso di laurea in Storia abbiamo creato con alcune/i compagne/i un mercato del baratto e, allo stesso tempo, abbiamo lottato contro l’infiltrazione di forze paramilitari nelle università senza mai scordare che eravamo lì per studiare. Ma studiare in un’università pubblica nell’altra sponda dell’Atlantico non vuol dire soltanto accedere a uno spazio dove imparare una professione, vuol dire anche esercitare lo status di cittadinanza e stabilire una posizione politica più per necessità che per volontà.
In generale l’università pubblica è stata un punto di riferimento per i movimenti di sinistra e la collettività organizzata.
In tutto il continente i movimenti studenteschi hanno fatto fronte a moltissimi disagi a livello politico e sociale: hanno combattuto contro le dittature negli anni 60’, 70’ e 80’ e contro il neoliberismo negli anni 90’ e 2000. Seppur a grande linee, si può affermare che in America Latina convivono due modelli macroeconomici: uno keynesiano e di tradizione socialdemocratica, l’altro rigurgito delle dittature e del neoliberismo entrato nel cuore del continente negli anni ’70. Senza dubbio alcuno, parlare dell’università e della ricerca in America Latina è equivalente a parlare di riflesso di quello che succede a livello macroeconomico. Galleggiando tra le varie crisi che hanno colpito il territorio, l’università e la ricerca si trovano davanti a una storia di resistenza degna dei migliori racconti e delle peggiori repressioni.
Con i cambiamenti arrivati con la Covid l’università deve fare fronte a una delle maggiori sfide della sua storia, ma non solo l’università come istituzione quanto piuttosto come collettivo organizzato.
Uno dei problemi maggiori da affrontare in questo momento è la mancanza degli spazi e dei corpi per poter sviluppare una coscienza politica collettiva. L’assenza di interazione fisica tra le persone dovuta alla pandemia in corso può fare quello che lo Stato (sempre di governi di destra) non ha potuto portare a termine: fare sparire i collettivi politici dall’università pubblica, cosa che non avevano potuto fare neanche le dittature più feroci come nei casi del Brasile, dell’Argentina e del Cile.
Ma siamo pronti ad affrontare gli ostacoli che rappresenta oggi la vicinanza fisica? Siamo pronti a sviluppare nuove forme di organizzazione politica all’interno e all’esterno di questa nuova università a scopo virtuale? E come reagire di fronte alla possibilità di essere bersaglio diretto delle istituzioni che, in gran parte dell’America Latina, sono state sempre rappresentate dall’estrema destra?
Il 10% delle persone più abbienti in America Latina e nei Caraibi possiede il 71% della ricchezza e pagano tasse solo sul 5,4% dei loro guadagni. Questi sono dati della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) e anche se queste statistiche ci permettono di vedere con un po’ di chiarezza la situazione economica dell’altra sponda dell’Atlantico non ci danno, purtroppo, una mappa effettiva della situazione sociale delle classi più povere. Ed è precisamente in questo momento quando entra in gioco l’università, sopratutto l’università pubblica, come un fattore di agglutinazione sociale che permette alle persone meno abbienti di guadagnare un po’ di mobilità sociale e migliorare le loro entrate economiche.
Questa tendenza alla mobilità sociale sta per sparire a causa delle politiche di taglio dei fondi statali destinati all’università pubblica, e per questa ragione, a migliaia di persone giovani il futuro è stato cancellato con una sola firma.
L’educazione è da considerarsi per le classi meno abbienti come l’unica forma di accesso a una mobilità sociale, lo ripeto. Il valore simbolico che l’università rappresenta per la classe lavoratrice è un punto importante per l’accumulazione di capitale simbolico e economico, ed è per questo che un colpo all’università e alla scuola, come quello che si vuole sferrare ora, è un colpo a un’intera classe che non può assolutamente permettersi di pagare un’università privata.
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In paesi come l’Argentina e l’Uruguay, dove l’educazione superiore è pubblica e gratuita, questo non significa che siano i più bisognosi ad accedere a questo diritto, anzi, le persone più abbienti sono le uniche che possono permettersi di non lavorare e arrivare all’università meglio preparati rispetto ai loro compagni meno privilegiati. Il paradosso che emerge dall’educazione pubblica e gratuita è quello di rendere molto più profonda la crepa che c’è tra le diverse classi sociali, seppur la gratuità rappresenti, in ogni caso, un’opportunità per sbarcare in un porto con acque più calme.
In Colombia poi, nel mese di agosto molti/e studenti/esse hanno scioperato e hanno occupato l’Università Nazionale (Universidad Nacional) chiedendo la sospensione dei pagamenti delle tasse universitarie, e hanno vinto. Questo è solo un esempio delle lotte che si portano avanti in un’università che pendola tra politiche populiste di sinistra e di destra. Sarà, per caso, questo il destino dell’università?
L’importanza di questi movimenti è rappresentata dalla loro capacità di guardare verso le diverse strade del futuro; il loro valore, invece, è quello di poter concretizzare domande specifiche in un mondo che naufraga in un mare di dubbi.
Ai tempi della Covid l’università in America Latina è al centro di tutti gli scontri e di tutti i dibattiti politici; per l’ennesima volta si torna a parlare della conversione dell’università sulla base di un aziendalisimo e per l’ennesima volta studenti/esse e ricercatori/rici sono pronti a resistere e lottare. Spuntano degli esempi in Colombia, in Cile, in Brasile dove il modello neoliberista, con manganello in mano, spera di vincere l’ennesima battaglia. Quello che fa la differenza tra l’università in alcune parti dell’America Latina e dell’Europa è che nel primo caso si aggira lo spettro di essere sempre sotto la minaccia della precarizzazione, minaccia che in molti Stati europei, come in Italia per esempio, si è già consumata.
La lotta contro la precarizzazione della ricerca e dell’insegnamento è all’ordine del giorno in America Latina.
Mentre scrivevo questo articolo è cominciata nuovamente una rivolta in Colombia. La morte di un avvocato da parte della polizia ha scatenato la rabbia sociale repressa per molto tempo e che solo la quarantena, con coprifuoco compreso, era stata capace di fermare. Il saldo delle proteste si conta con almeno tredici persone morte e decine di caserme della polizia bruciate. La rivolta si estende e viaggia rapidamente sopratutto nei paesi dove il neoliberismo è più forte. Dal Cile alla Colombia, con l’università come base fondamentale, si inizia a respirare un’aria diversa, l’aria che la Covid ci ha fatto passare tra le mure chiuse delle prigioni sociali.
Qualche anno fa, nel 2006, in Cile è nato il movimento dei Pingüinos; caratterizzato e creato da studenti e studentesse della scuola primaria e secondaria è nato come risposta agli attacchi costanti all’educazione pubblica e alla sua privatizzazione. Le persone che nel 2006 parteciparono alle proteste sono poi cresciute e hanno preso parte alle rivolte del 2011 e a quelle del presente dove i nuovi gruppi studenteschi devono ancora affrontare la lotta contro la privatizzazione e portare avanti, allo stesso tempo, una lotta ancora più ambiziosa: quella per un mondo diverso da quello che propongono le classi dominanti.
Come ho detto al principio di questo testo partecipare alla vita universitaria e fare ricerca non è solamente transitare un percorso formativo per poter accedere al mercato lavorale. Ma è giustamente questa la sfida in cui ci ha messo la Covid, dobbiamo stare attenti/e a non perdere di vista tutto ciò che rappresenta l’università.
Ovunque in quel grande subcontinente i movimenti transfeministi ci hanno dato una lezione su come l’università e la ricerca siano dei pilastri fondamentali della società e hanno messo in scena una batteria di produzione intellettuale inimmaginabile, in tutte le discipline umanistiche spuntano i gruppi di ricerca, le tesi, i corsi di laurea con una prospettiva femminista intersezionale. Questi movimenti, però, non sono rimasti incagliati nei freddi interessi epistemici che spesso circondano le aule universitarie, sono scesi in strada per essere protagonisti di manifestazioni di ogni tipo. Questo fenomeno che è cominciato come un’onda oramai è diventato uno tsunami.
In Argentina, per esempio, a livello sociale i movimenti LGTBIQ sono stati in grado di esercitare pressione sul governo di sinistra di Alberto Fernandez e Cristina Kirschner con il fine di approvare una legge che rinforza i loro diritti e che tende ad assicurare una quota di lavoro per persone transgender. Un altro compromesso che ha fatto il governo argentino è stato quello di portare avanti una legge che possa garantire, in totale sicurezza e gratuità, l’interruzione volontaria della gravidanza da parte delle donne, e si può solo dire che questi diritti non sono stati dati dal governo, anzi, è grazie a questi movimenti di carattere transfeminista, e che hanno usato l’università come catapulta, che oggi in Argentina le donne e le persone transgender possono esercitare i loro status di cittadinanza. Tutto fatto dal basso. È di questi ultimi giorni, poi, la notizia dell’occupazione delle installazioni della Commissione Nazionale per i Diritti Umani di Città del Messico da parte del movimento Ni Una Menos, stato in cui i femmicidi si contano nei termini statistici di decine al giorno.
Per concludere vorrei riprendere le domande al centro di questo articolo su come poter affrontare i cambiamenti che ci ha fatto realizzare la Covid nel contesto dell’università e la ricerca. Queste domande non appartengono, però, solo alla realtà dell’America Latina, sono piuttosto generali e cercano di fare luce sui problemi politici ed economici che ci ha fatto crescere in un mondo in crisi costante. La crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo provando ad affrontare oggi giorno nel contesto globale non è, purtroppo, un fenomeno nuovo, anzi, è un fenomeno che è immanente alla società capitalista. Lì dove c’è capitalismo c’è crisi. Fatte queste considerazioni si può dire che l’università e la ricerca penetrano tutto il mondo non accademico. Come abbiamo visto con gli esempi dei movimenti transfeministi in Argentina, e dei collettivi studenteschi in Cile e in Colombia l’università è un’istituzione capace di performare i dibattiti e le lotte politiche del presente che guardano verso le diverse strade del futuro; è necessario continuare a creare disagio a le élite politica, è necessario imporsi obiettivi concreti e raggiungibili senza mai smettere di immaginare un futuro più grande ed è necessario concedere all’università la possibilità di diventare momentaneamente virtuale per poter continuare ad essere una potenza trasformante.
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Indice:
Editoriale. Lezioni perdute.
di Giovanni Tateo
Atena nera: razzismo in accademia
di Franklin Obeng-Odoom
Burger King University
di Eleonora Priori
Sesso imperfetto
di Robin Wilson-Beattie
Un uomo sfortunato
di Rémy Ngamije
Speaking English
di Mubanga Kalimamukwento
Il primo giorno di una nuova scuola
di Salvatore Iaconesi
Teachers
di Masande Ntshanga
Sequenze di una ribellione
di Mali Kambandu
Gamificando non si impara
di Matteo Lupetti
Gaokao
di Zheng Ningyuan
Percorsi precari
di Marcello Torre
Decolonizzare l’università
di Robbie Shilliam
Genocidio antigitano
di Kale Amenge
Conversazione con Ana Gallardo e Nina Fiocco
di Giovanna Maroccolo
Kulture Room
di Marianna Rossi Daniele Ferriero Marco Petrelli Danilo K. Kaddouri
Il precedente impiegato polivalente, M.
di Simone Marcelli Pitzalis
Indice Episodi online (disponibili su menelique.com):
Numero primo: Ruggero Freddi
di Matteo Cresti
Genere e accademia
di Vera Tripodi
Università Sudamerica
di Andrés Cáceres
Femminismo anticarcerario. Amicizia, stupro, comunità.
di Giusi Palomba
L’ora di Open source
di Daniele Gambetta e Alessandro Tartaglia
Pedagogia radicale
di Donna Nevel
Immagini di:
- Flavia D’Anna
- Davide Bart. Salvemini
- Nadia Pillon
- Daniele Kong
- Adam Tempesta
- Matteo Dang Minh
- Eduardo Viviani
- Ary Uvas
- Dino Caruso Galvagno
- Monica Torasso
- Marta Arnaudo